Si è tenuta il 9 aprile la terza udienza del processo per la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Davanti alla I corte d’Assise è stato ascoltato dai giudice Claudio Regeni, padre del ricercatore friulano scomparso al Cairo il 25 gennaio del 2016 e ritrovato deceduto nei primi giorni di febbraio. Nel processo sono imputati quattro agenti dei servizi di sicurezza egiziani che non si sono mai presentati in aula anche per via della mancata collaborazione delle autorità egiziane. Gli imputati sono Husan Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif e il generale Tariq Sabir e proprio perché non sono stati rintracciati dalle autorità italiane i loro processo si celebra in contumacia, grazie alla pronuncia n.192/23 della Consulta.

La testimonianza

Durante la sua testimonianza Claudio Regeni ha ripercorso la vita del figlio sin dalla sua infanzia. «Per 42 anni sono stato impiegato in una società americana - ha detto ancora - mia moglie ha fatto l'insegnante e poi collaborava con l'università di Trieste. Io per alcuni anni, da adolescente, ho vissuto con la mia famiglia in Australia. Poi mio padre decise di tornare in Italia ed aprì una panetteria a Monfalcone. Con i miei figli (Giulio ed Irene, ndr) abbiamo fatto molti viaggi: in Francia, Spagna, Portogallo, il Nord Europa e Capo Nord. Andavamo prima in tenda e poi in camper», ha raccontato Claudio Regeni. Prima di arrivare a studiare nel Regno Unito, Giulio Regeni ha frequentato il college Mondo unito negli Stati Uniti. Era appassionato delle lingue: sapeva parlare l’inglese, lo spagnolo, il tedesco, studiava il francese e amava la lingua araba.

In udienza gli inquirenti hanno depositato la registrazione audio del colloquio avvenuto nel dicembre 2016 tra i genitori del ragazzo e la docente che era il suo contatto al Cairo. «Lei aveva una ottima opinione di Giulio, era molto amareggiata di quanto avvenuto», ha detto il padre. «La persona che ha tradito Giulio è stato il sindacalista (Mohamed Abdallah, ndr). Questo aveva amareggiato la docente della American University del Cairo dove mio figlio collaborava».

Secondo la tesi dei pm Giulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso in quanto considerato una spia. Gli agenti egiziani non avevano creduto al fatto che si trovava al Cairo per compiere una ricerca sugli ambulanti e sui sindacati dei lavoratori per il suo dottorato che portava avanti per l’università di Cambridge. «Giulio non è mai stato alle dipendenze di autorità italiani, inglesi e egiziane. Né ci ha mai collaborato», ha specificato Claudio Regeni. 

Durante la sua testimonianza c’è stato anche modo di discutere del carattere del ricercatore nato a Fiumicello. "Giulio cercava di coinvolgere tutti, era sempre rispettoso nei confronti degli altri. Era molto legato a sua sorella. Da bambini litigavano spesso come in tutte le famiglie, ma da adolescenti si confidavano molto tra loro: avevano gli stessi amici e quando lui tornava dai viaggi era solito stare con loro». Tra i suoi progetti futuri c’era sicuramente l’idea di mettere su famiglia insieme alla compagna e di rendersi indipendente economicamente. «Era molto attento a spendere non più del necessario: non era interessato a vestirsi in maniera sfarzosa. Vestiva in maniera casual», racconta Claudio.

L’altra testimonianza

«A Natale 2015 ci siamo visti, mi ha raccontato della sua ricerca a Il Cairo, che stava passando molto tempo con i venditori ambulanti, che teneva un profilo molto basso, che era molto stancante», ha detto un'amica di Giulio Regeni ascoltata in aula come testimone nel processo. «Mi ha raccontato poi via chat, nel gennaio 2016, che c'era molta repressione politica. Mi diceva che bisognava stare attenti e che teneva un profilo molto basso», ha aggiunto. «Conosco Giulio da quando siamo piccoli, poi abbiamo frequentato lo stesso liceo e siamo diventati amici - ha detto l'amica di Giulio rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco -. Giulio coltivava il rapporto con la famiglia e con gli amici. Faceva la vita di uno studente che vive con un budget limitato».

Le reazioni politiche

Di fronte a Piazzale Clodio, sede del tribunale di Roma, era presente anche la segretaria del Partito democratico Elly Schlein. «Ancora una volta siamo qui al fianco alla famiglia Regeni. Questo è un processo importantissimo ed è una questione che riguarda la nostra Repubblica e non solo una singola famiglia. Non dobbiamo dimenticare che questo processo ha incontrato enormi ostacoli anche per i rapporti con l'Egitto», ha affermato la segretaria del Pd. Sul caso è intervenuto anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani: 

aIn ogni incontro con Al-Sisi, sia della presidente del Consiglio che mio, abbiamo sempre insistito su questo argomento: lo facciamo sempre con grande discrezione, senza trasformare la nostra iniziativa in un fatto politico», ha detto il capo della Farnesina.

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