Le coincidenze a volte sono beffarde. Mentre in Egitto e in Italia i giornali di ieri titolavano sulla visita al Cairo di domenica della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e degli altri leader europei, al tribunale di Roma si è tenuta la seconda udienza del processo sull’assassinio di Giulio Regeni iniziato il 20 febbraio scorso. Una vicenda sulla quale sembra oramai calato il silenzio istituzionale ma non quello delle opposizioni e della società civile che continuano a chiedere giustizia per il ricercatore friulano barbaramente torturato e ucciso nel 2016.

L’udienza si è aperta con la seconda corte d’assise di Roma che ha respinto le eccezioni di nullità del processo avanzate dalla difesa dei quattro agenti dei servizi di sicurezza egiziani imputati, a cui le autorità del Cairo non hanno mai notificato gli atti giudiziari in tutti questi anni. Secondo i giudici hanno condotto una «brutale e gratuita violenza fisica», «che non possono che avere prodotto, per la loro imponenza, gravissimo dolore e tormento in senso stretto, in un crescendo che ha originato l’evento morte, anche a voler trascurare il dato del patimento psicologico».

Per queste motivazioni il procedimento che vede coinvolti i colonnelli Husan Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif e il generale Tariq Sabir si celebra in contumacia, dopo la pronuncia n.192/23 della Consulta.

I punti contro gli imputati

Il procuratore aggiunto di Roma Sergio Colaiocco, che indaga sul caso da anni, ha la certezza che da settembre 2015 Giulio Regeni è finito sotto il mirino dei servizi segreti egiziani, i quali lo avevano scambiato erroneamente per una spia. Gli agenti non avevano capito che il cittadino friulano si trovava in realtà in Egitto per lavorare al suo progetto di ricerca con l’università di Cambridge che vedeva coinvolti i commercianti ambulanti e alcuni sindacati dei lavoratori.

Per i procuratori intorno a lui è stata creata una «ragnatela» con «l'acquisizione del passaporto a sua insaputa», con le «perquisizioni in casa in sua assenza», con i «pedinamenti», le «fotografie e i video» e tanto altro.

A carico degli imputati sono stati infatti annunciati in aula dieci elementi che inchioderebbero il loro operato, tra quelli acquisiti ci sono i video della fermata della metro del Cairo dove il 25 gennaio del 2016 Giulio è stato rapito (e non è un caso se al video mancano i minuti del momento del rapimento), il pc di Regeni che ha fornito elementi utili sul movente, i tabulati telefonici.

E poi sarebbero tre i depistaggi che secondo la procura capitolina i servizi di sicurezza egiziani avrebbero messo in piedi per coprire il brutale omicidio: il primo è quello con cui hanno cercato di creare un movente sessuale, il secondo è quello di una rapina finita male e infine è stato inscenato il ritrovamento dei documenti di Giulio in una abitazione di un gruppo criminale poi ucciso dalla polizia egiziana.

La richiesta di aiuto

«Lo diciamo sin da ora: servirà un proficuo lavoro del ministero degli Esteri che dovrà suscitare la collaborazione delle autorità egiziane. Solo la polizia egiziana, infatti, può notificare gli atti e dare il via libera per ascoltare a processo i 27 testimoni inseriti nella nostra lista e che vivono in Egitto. Questa collaborazione sarà fondamentale per una compiuta ed esaustiva ricostruzione dei fatti», ha detto ieri il pm Colaiocco. Ora la paura è che i testimoni, molti dei quali hanno deciso di parlare sotto anonimato, non vengano a deporre in aula.

La mancata collaborazione delle autorità del Cairo è sempre stato un nodo politico che ha attraversato tutti i governi succedutesi dal 2016 a oggi.

Chi è stato seduto a Palazzo Chigi, che sia di destra, di centro o di sinistra, ha sempre avuto buone relazioni diplomatiche con il presidente Abdel Fattah al Sisi considerato un partner strategico importante soprattutto dal punto di vista energetico ma anche per arginare i flussi migratori. Ieri il presidente del Copasir e deputato del Partito democratico, Lorenzo Guerini, ha detto che bisogna mantenere un dialogo aperto insieme all’Egitto.

«Questo però non significa nascondere le difficoltà che questa interlocuzione comporta, e non significa tacere sui diritti civili o arretrare sulla richiesta di procedere nell’individuazione dei responsabili dell’omicidio Regeni». Intanto, domenica al Cairo insieme alla premier c’era anche il vice ministro degli Esteri Edmondo Cirielli che con la controparte egiziana ha firmato due accordi di cooperazione. La stessa Farnesina a cui la procura chiede aiuto per il processo.

I genitori di Giulio Regeni hanno preferito non commentare la visita di Meloni al Cairo, poche parole le ha dette in loro nome la legale Alessandra Ballerini. «Non commentiamo le parole della premier Meloni, diciamo solo che nel nostro paese fortunatamente c’è la separazione dei poteri, a differenza di quello che succede nei regimi».

Secondo Ballerini il processo «si farà con un ritmo anche serrato di udienze. Possibile che si concluda anche in poco tempo. Grazie al supporto di tutti, anche della stampa», ha detto la legale. Prossima tappa è il 9 aprile quando verranno ascoltati i testimoni per ricostruire la vita di Giulio Regeni.

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