Un’ora e mezza di udienza alla prima Corte di Assise a Roma e poi il rinvio al prossimo 18 marzo per “eccezioni tecniche”. Comincia così il processo per il rapimento e l’uccisione di Giulio Regeni, il giovane ricercatore di Fiumicello rapito al Cairo il 25 gennaio del 2016 e poi ritrovato senza vita, 9 giorni dopo con evidenti segni di tortura, nella periferia della capitale egiziana.

«Sono otto anni che aspettavamo questo momento», dicono i genitori arrivati a Piazzale Clodio insieme alla figlia Irene e all’avvocato Alessandra Ballerini. Fuori dalla cittadella giudiziaria, gli striscioni gialli e i sostenitori della campagna “Verità per Giulio”. Con la famiglia in aula, anche la scorta mediatica: tra di loro, Pif, l’esponente del Partito democratico Gianni Cuperlo, quello dei Verdi Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, di Sinistra Italiana. Dal 2016, la vicenda è stata scandita dalla scarsa collaborazione giudiziaria dell’Egitto che poi si è trasformata in ostruzionismo dopo che nel 2021 la procura di Roma ha chiesto il processo per i quattro agenti della National security egiziana.

I loro nomi sono ormai noti a tutti: sono i colonnelli Husan Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif e il generale Tariq Sabir. Quello che invece non si sa e, probabilmente, non si saprà mai sono i loro domicili. Per questo il procedimento si era impantanato: non è mai stato possibile notificare il rinvio a giudizio. Solo un intervento della Corte Costituzionale, a settembre, ha permesso che il processo iniziasse anche senza la notifica degli atti agli imputati.

Ma nonostante il provvedimento della Consulta, è scontato che le udienze si celebreranno senza gli imputati in aula. Un fattore su cui la difesa d’ufficio ha continuato a fare leva durante questa prima seduta. Gli avvocati d’ufficio hanno incalzato su diversi aspetti “tecnici”, evidenziando la carenza delle prove nel fascicolo dell’inchiesta. È la conseguenza della collaborazione a singhiozzo dell’autorità del Cairo che negli anni ha mandato prove e verbali approssimativi, spesso scritti a mano, su dei fogli protocollo, in arabo.

La difesa degli imputati

ANSA

«Così non sono in grado di difendere il mio assistito», ha detto Tranquillino Sarno, avvocato di Athar Kamel Mohamed Ibrahim, affermando che non viene addebitata una singola condotta al suo assistito. «Non ho mai chiesto la nullità degli atti perché manca il giorno di nascita. Capisco che questo sia un processo particolare, ma per il mio assistito manca il giorno di nascita, il mese e l’anno. E manca anche il luogo di nascita».

Il pm Colaiocco in aula ha risposto che la Corte Costituzionale non dice che è necessario comunicare all’Egitto che la norma è cambiata e sull’identificazione rassicura che «produrrà i verbali nei quali c’è l’identificazione dei quattro imputati. È avvenuta non da parte di un soggetto qualsiasi ma dalla magistratura egiziana che ha identificato con un documento di identità poi trasmesso con una rogatoria internazionale».

Il tribunale si esprimerà nella prossima udienza, ma al netto dei tecnicismi, ciò che verrà a mancare è anche la maggior parte dei testimoni che hanno parlato nel corso delle indagini preliminari, alcuni dei quali sono anonimi. Presenze che sarebbero indispensabili per confermare in aula il lavoro svolto in questi anni dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, dei carabinieri del Ros e dei poliziotti dello Sco.

La lista dei testi depositata dalle parti è molto lunga: dal presidente della Repubblica egiziana, Abdel Fattah al-Sisi, all’ex premier Matteo Renzi passando per l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. La maggior parte delle persone presenti in questa lista si trova in Egitto. L’avvocato di parte civile Alessandra Ballerini ha chiamato a rispondere anche lo stesso presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, Per farli comparire davanti alla Corte di Assise di Roma il governo del Cairo dovrebbe consentire gli avvisi a comparire, la notifica degli atti e permettere l’espatrio delle persone convocate a testimoniare.

Un’impresa che risulta impossibile visto l’atteggiamento delle autorità egiziane che da anni si sono rivelate immuni a qualsiasi pressione diplomatica. Nessuno dei governi italiani, che dal 2016 si sono succeduti in questa vicenda, ha mai fatto crollare il loro muro di reticenza. In Egitto il caso è chiuso. Nessuno, tra le forze di sicurezza, è mai stato ritenuto colpevole.

© Riproduzione riservata