Dal febbraio del 2011 l'Onu ha vietato la vendita di armi e apparecchiature militari alla Libia. Eppure, alla fine del 2020 il gruppo francese Nexa ha firmato contratti, del valore di 3,3 milioni di euro, per vendere al governo guidato dal maresciallo Khalifa Haftar strumenti per l’intercettazione dei telefoni cellulari. È una delle notizie scoperte grazie all'inchiesta giornalistica Predator Files, basata su documenti confidenziali ottenuti da Mediapart e Der Spiegel, condotta da Domani insieme al network di giornalismo investigativo European Investigative Collaborations (EIC).

I contratti sono stati scoperti da due magistrati francesi, Stéphanie Tacheau and Ariane Amson, che stanno indagando da anni sulle attività di Nexa. Collegata ai servizi segreti di Parigi (Dgse), in ottimi rapporti con l'Eliseo, la società era finita inizialmente sotto il faro dei magistrati francesi per aver venduto nel 2007, all'allora dittatore libico Muammar Gheddafi, un software di sorveglianza chiamato Eagle. Per questo nel giugno del 2021 la società e i suoi manager – che si dichiarano innocenti e respingono le accuse - sono stati indagati per “complicità in tortura”.

Indagando sui rapporti tra Nexa e la Libia gli inquirenti hanno scoperto i contratti firmati nel 2020 con il governo guidato da Haftar. Un accordo siglato in violazione dell'embargo sulla vendita di strumentazione militare, ma non solo. Il governo di Haftar non è infatti riconosciuto dalla comunità internazionale ed è sospettato di aver commesso crimini di guerra sia dalla Corte Penale Internazionale che dai tribunali di Francia e Stati Uniti.

Dall'omicidio di Gheddafi nel 2011, la Libia è piombata nel caos. Da allora Haftar controlla la parte orientale del Paese attraverso il Libyan National Army e l'appoggio di alcune potenze straniere tra cui Egitto, Emirati Arabi Uniti, Russia e, appunto, la Francia. Tutto ciò nonostante il Maresciallo sia stato escluso dalla coalizione che forma il Governo di Unità Nazionale, riconosciuto nel dicembre 2015 dal Consiglio di sicurezza dell'Onu come l’unico legittimo.

Da Gheddafi ad Haftar

I documenti alla base della nostra inchiesta dimostrano che, poco dopo la morte di Gheddafi, Nexa ha ricominciato a tessere la sua tela commerciale in Libia. Nel settembre del 2013 la società francese sta provando a vendere al governo di Tripoli uno dei suoi prodotti, chiamato Cerebro. Raphael C., rappresentante commerciale di Nexa, si lamenta con i suoi capi perché un intermediario della compagnia starebbe facendo circolare un po' troppo la loro proposta: «Se finisse sulla scrivania di un giornalista finiremmo nei casini», scrive. La vendita non si concretizza, ma due anni dopo Nexa sta facendo la corte alla fazione opposta, quella di Haftar. Il primo contatto avviene nel 2015, quando un rappresentante del Maresciallo visita lo stand di Nexa a una fiera internazionale tenutasi a Dubai, ma per concretizzare l'affare devono passare altri cinque anni. Tra settembre e novembre del 2020 il governo Haftar firma quattro contratti per l’acquisto di attrezzature per l’intercettazione di comunicazioni su reti mobili, per un importo complessivo di 3,3 milioni di euro. L'ordine comprende un sistema per l'ascolto dei telefoni satellitari Thuraya e tre ricevitori Imsi, incluso il modello più potente di Nexa, l'AlphaMax, in grado di captare comunicazioni vocali e Internet dai telefoni cellulari presenti nel raggio d'azione della sua antenna. A dicembre viene versato a Nexa un primo acconto di quasi 100.000 euro.

I documenti sulla vendita alla LIbia violando l'embargo (grafica di Simon Toupet/Mediapart)

Resta un problema: come consegnare la merce? Il 21 maggio del 2021 Stephane Salies, numero uno di Nexa, chiama l'avvocato Kay Hoft, specializzato in esportazioni. «Abbiamo una richiesta da un Paese super cattivo», in questo caso è il «campo di Haftar», specifica Salies. Che poi chiede se la vendita «è del tutto vietata». L'avvocato dice di sì, il fondatore di Nexa ribatte proponendo di esportare i prodotti tramite Dubai (Salies al tempo ha una società attiva negli Emirati, la Ames), ma il legale cerca di scoraggiarlo: «Lascia stare». Quattro giorni dopo Salies chiama nuovamente Hoeft: dice di aver trovato «un fornitore basato in Inghilterra», pronto ad effettuare la vendita e la consegna. L'avvocato gli spiega che in questo caso è necessaria una licenza di esportazione britannica, ma suggerisce un trucco per evitare di chiederla: le attrezzature potrebbero essere spedite a Dubai, «assemblate con altri pezzi e riesportate dagli Emirati Arabi Uniti, e poi non devi rivelare l'identità del cliente finale al Regno Unito» . Risposta di Salies: «Ok, capisco, è fattibile, potrebbe essere facile».

Indagini ostacolate

Il 15 giugno, tre settimane dopo questa conversazione, i gendarmi francesi fanno irruzione negli uffici di Nexa e nelle case dei suoi dirigenti. La settimana seguente i due magistrati incaricati del fascicolo, Tacheau e Amson, chiedono l'autorizzazione ad indagare sulla vicenda per il reato di complicità in tortura, fattispecie che darebbe loro la possibilità di svolgere nuove attività come interrogatori, perquisizioni e intercettazioni. La Procura antiterrorismo (Pnat), guidata da Jean-Francois Ricard, dice no. Il Pnat dà invece il via libera ad estendere l'indagine al reato di violazione dell'embargo sulle armi verso la Libia. Per avviare questo procedimento, però, serve una denuncia firmata dal ministro dell'Economia, Bruno Le Maire. Che al momento non l'ha mai presentata. Perché? Di sicuro, mentre Nexa trattava la vendita dei suoi prodotti con Haftar, Emmanuel Macron e il suo allora ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, stavano lavorando per dare al Maresciallo un'immagine internazionale credibile, come dimostra ad esempio la visita all'Eliseo del militare libico nel maggio del 2021. Abbiamo chiesto a Macron e Le Maire (il suo ministero è responsabile delle licenze per l’esportazione di tecnologie di sorveglianza) se fossero stati informati del contratto tra Nexa e Haftar, e se lo avessero convalidato. Il ministro ha risposto: «Visto che c’è un’indagine in corso non possiamo commentare. Lasciamo che la magistratura faccia il suo lavoro e porti le risposte attese».

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