Falsità sulla strage di via D’Amelio (mercoledì il trentunesimo anniversario), ma anche sul sequestro e sull’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido dai macellai di Cosa nostra. Nelle carte depositate dalla procura di Firenze c’è il lavoro sporco che Salvatore Baiardo ha condotto negli anni agli ordini degli stragisti Filippo e Giuseppe Graviano.

Baiardo è l’ex gelataio che aveva predetto, lo scorso novembre, l’imminente arresto di Matteo Messina Denaro, l’ex latitante che mercoledì è stato condannato anche dalla corte d’Appello all’ergastolo per le stragi del 1992.

Baiardo è un indovino in servizio permanente fin dagli anni Novanta quanta era a conoscenza, in anticipo, della collaborazione di Balduccio Di Maggio, uomo chiave per arrivare all’arresto di Totò Riina, abbandonato al suo destino proprio dai Graviano.

Le calunnie

Inizialmente i pubblici ministeri fiorentini lo avevano ascoltato per quattro volte sui presunti rapporti, anche economici, tra i Graviano e Silvio Berlusconi. Ma da testimone credibile era presto passato sul banco degli accusati quando ha negato, smentito dalle intercettazioni telefoniche, l’esistenza di una foto compromettente che ritrarrebbe Berlusconi, Graviano e il generale Francesco Delfino. L’avrebbe mostrata a Massimo Giletti, il conduttore che lo aveva più volte ospitato e che aveva raccolto la rivelazione sull’arresto di Messina Denaro.

La procura di Firenze ha quindi raccolto elementi e chiesto l’arresto di Baiardo, ma il giudice ha respinto la richiesta e ora si attende la decisione del tribunale del Riesame, il prossimo 4 settembre.

I pubblici ministeri Luca Tescaroli e Luca Turco hanno depositato una prima informativa di 1.500 pagine e altri documenti durante l’ultima udienza, poi rimandata per la rinuncia dell’avvocato dell’ex gelataio che ha portato alla nomina di due legali d’ufficio. Baiardo avrebbe calunniato Giletti per la storia della foto, negandone l’esistenza, ma anche alcuni collaboratori di giustizia, tra questi Gaspare Spatuzza.

Non solo, ha accusato Gian Carlo Ricca, oggi sindaco di Cerasa, di aver movimentato i soldi dei Graviano e di aver comprato una casa con quel denaro. Tutto falso. Ricca con i fondi sporchi dei mafiosi non c’entrava niente. Aveva conosciuto Baiardo a inizio anni Novanta, come tanti che frequentavano la gelateria, ma nulla di più.

Ora l’ex gelataio è indagato anche per la calunnia ai danni del sindaco oltre che per favoreggiamento a Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Con le sue dichiarazioni reticenti e menzognere li avrebbe favoriti nell’indagine che vede l’ex senatore azzurro iscritto per il reato di concorso in strage e, di recente, anche per intestazione fittizia di beni.

Lo spessore criminale

Negli atti depositati viene riportato quello che appare come un compendio di falsità sparse in questi anni da Baiardo. Menzogne che erano state raccontate anche da questo giornale che aveva sollevato diversi quesiti sulla credibilità dell’ex gelataio.

Si legge che grazie al collaboratore di giustizia Fabio Tranchina, si era arrivati a delineare il suo profilo non solo come un semplice favoreggiatore dei Graviano – per questo era stato condannato negli anni Novanta – ma come di una figura di spessore «criminale ben più elevato».

Non solo, riportano gli atti, per la sua capacità di movimentare e riciclare somme di denaro provenienti da Giuseppe Graviano, ma anche perché in grado di individuare un collaboratore di giustizia che risiedeva in provincia di Verbano.

Negli anni, in particolare tra il 2010 e il 2011, Baiardo si muoveva per sostenere la causa di Graviano, allora detenuto. In che modo? Intervenendo nei processi a suo carico in corso in Sicilia, in particolare in quello per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, dove si è prodigato per fornire a Graviano un alibi falso che non gli ha risparmiato la condanna.

Baiardo si era presentato in aula confrontandosi con il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, e poi aveva depositato una memoria scritta. Negli atti si ricorda che a casa di Baiardo erano stati trovati due memoriali nei quali dichiarava che i Graviano non si erano mai mossi dal nord Italia nel biennio 1992-1993, «circostanze che contrastavano con tutte le acquisizioni investigative».

L’ex gelataio per salvarli aveva raccontato la storiella falsa della sua presenza a Omegna nel giorno della strage di via D’Amelio, dove sono stati uccisi Paolo Borsellino e la sua scorta. Strage per la quale sono stati condannati proprio i Graviano, i padrini dell’ex gelataio.

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