«Io compravo il bagnoschiuma a quasi tre euro, quando sono uscito l’ho trovato a novanta centesimi. Il sopravvitto è sempre stato caro e inaccessibile», dice un ex detenuto che racconta lo scandalo della vendita di cibo e generi di prima necessità all’interno degli istituti di pena. Una vicenda che Domani aveva raccontato lo scorso settembre elencando i costi esorbitanti dei prodotti che i detenuti hanno la possibilità di comprare (sopravvitto) integrando il vitto distribuito dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Il caso sollevato riguardava il carcere romano di Rebibbia dove tra i costi dei prodotti del supermercato all’esterno dell’istituto e quelli dello spaccio interno c’era sempre una differenza che variava tra il 25 e il 100 per cento. La Corte dei conti è intervenuta bocciando (prima era intervenuto anche il Consiglio di stato) la gara indetta dal provveditore regionale del Lazio. Successivamente sono state annullate le gare in tutta Italia.

In questi giorni si sono chiuse le buste per le nuove assegnazioni (gare ponte), finalmente il vitto e il sopravvitto sono stati separati e sono diventati oggetto di due diverse gare. Ma la base d’asta resta molto bassa, le imprese sono sempre le stesse, nostalgiche del sistema delle assegnazioni secretate, in vigore fino al 2017.

L’intervento dei magistrati

Negli ultimi anni qualcosa è cambiato, ma solo grazie alla giustizia amministrativa e contabile. Nel 2019 il Consiglio di stato ha censurato la base d’asta a 3,19 del vitto, insufficiente per garantire una qualità minima dei pasti. Finalmente è stato messo in discussione l’automatismo che concedeva la gestione del sopravvitto alle stesse imprese che si aggiudicavano la gara per il vitto.

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha così emanato un disciplinare che aumentava la base d’asta a 5,70 euro e lasciava ai provveditorati la possibilità di scorporare vitto e sopravvitto. Ma nel 2020 molti bandi non recepivano ancora questa indicazione. Così la Corte dei conti è dovuta intervenire sulla gara del Lazio producendo annullamenti a cascata in tutta Italia.

L’esposto della garante

Gabriella Stramaccioni è la garante dei detenuti di Roma. A metà a novembre ha presentato un esposto alla procura di Roma descrivendo il disastro gestionale intorno alla «fornitura del vitto e sopravvitto agli stessi detenuti e internati». Il primo di scarsa qualità, il secondo dal costo esagerato. L’esposto riguardava la gara indetta dal provveditore del Lazio nel giugno 2020 per il servizio di vitto ai detenuti nel carcere di Rebibbia.

Il costo esorbitante genera di norma due anomalie. La prima è nell’accesso. Solo i detenuti che hanno una disponibilità economica possono accedere al sopravvitto “rincarato”. La seconda riguarda la violazione dell’ordinamento penitenziario che prevede testualmente che «i prezzi non possono essere superiori a quelli comunemente praticati nel luogo in cui è sito l’istituto».

Nell’esposto vengono riportati i reclami che i detenuti hanno inviato alle autorità competenti. «Se ogni anno le direzioni degli istituti, provvedono a legittimare il prosieguo del fornitore alla somministrazione di cibi inadeguati, anzi pessimi a dire il vero, il provveditore proseguirà ancora per anni a rinnovare un contratto ormai scaduto da tempo, inadeguato e senza vigilanza alcuna per la qualità distribuita», scrivevano nel giugno scorso.

Nonostante le rimostranze e le proteste, nello stesso mese Carmelo Cantone, provveditore regionale del Lazio, Molise e Abruzzo, ha firmato i decreti che confermavano gli affidamenti per l’approvvigionamento e consegna delle derrate alimentari. Ma a inizio settembre la Corte dei conti, sezione regionale del Lazio, non ha registrato i decreti di approvazione dei contratti perché, in merito all’affidamento alla ditta Domenico Ventura srl, i magistrati contabili avevano rilevato perplessità «sulla legittimità a monte delle modalità di determinazione dell’oggetto del servizio».

Un rilievo che riguarda la pratica, nuovamente confermata nel contratto, di assegnare alla stessa ditta il vitto e il sopravvitto. Pratica che può produrre, per come concepita dal bando di gara, «un potenziale conflitto di interesse a discapito della qualità dei servizi alimentari primari offerti ai detenuti». Insomma anche per i giudici contabili, come i detenuti, evidenziano che se il vitto ha una base d’asta di 5,70 euro l’effetto è che per compensare il basso guadagno si produca un aumento del costo del sopravvitto.

Nel caso in esame l’azienda ha offerto un ribasso del 58 per cento impegnandosi a consegnare una colazione, un pasto e una cena a 2,39 euro. Il caso è finito in parlamento, sollevato dalla senatrice Margherita Corrado (ex M5s oggi al gruppo Misto) che ha parlato di «lucro sulle spalle dei detenuti».

Il risveglio dello stato

La ministra della Giustizia Marta Cartabia, a inizio novembre, dopo la denuncia della Corte dei conti, ha annunciato la separazione delle gare di vitto e sopravvitto, l’annullamento delle assegnazioni e l’indizione di nuovi bandi. Sul sito del ministero sono elencate le gare annullate, non solo quella del Lazio, ma anche di Campania, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Sardegna, Puglia e Basilicata, tutte basate sullo stesso disciplinare. Sul caso Lazio e dopo l’esposto della garante per i detenuti di Roma, la procura ha aperto un fascicolo.

«Non sono stato sentito dalla procura», dice il provveditore Cantone che dal luglio scorso è anche provveditore ad interim della Campania visto che l’ex provveditore, Antonio Fullone, è a processo per il pestaggio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (è lui ad aver disposto la perquisizione straordinaria del 6 aprile 2020 trasformatasi in una mattanza di stato).

Perché nel 2020 viene bandita una gara che ancora replica lo schema del vitto e del sopravvitto? «Questo discorso arriva adesso con l’intervento della magistratura, tenere insieme vitto e sopravvitto è una pratica che non è mai stata contestata all’amministrazione», risponde Cantone. Ma ci volevano i magistrati per capirlo? «La domanda è mal posta, i disciplinari non li crea il provveditore, ma il Dipartimento che fino a quando non si è materializzata questa bocciatura non è mai stato soccombente». Ma i detenuti hanno sempre segnalato vitto scadente, sopravvitto costoso anche in passato? «Le segnalazioni le abbiamo avuto adesso e siamo intervenuti». Ha mai segnalato qualcosa anche rispetto a una gara aggiudicata con un ribasso di quasi il 60 per cento? «Mi riservo di comunicarlo nelle sedi ufficiali, non voglio fare polemiche giornalistiche, nelle sedi opportune dirò cosa ho fatto per evidenziare le anomalie, comunque il disciplinare di gara viene predisposto dal Dipartimento».

Quello che è successo nel Lazio è successo anche altrove, ma come hanno fatto a non accorgersi di quanto poi rivelato dalla Corte dei conti e dal Consiglio di stato? «L’amministrazione penitenziaria non è capace di attivarsi autonomamente su queste vicende, aspetta di essere costretta dalla giurisdizione. Da quando mi occupo di carcere, una trentina di anni, si pone il tema del vitto e del sopravvitto», dice Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio.

Dal Dipartimento fanno sapere che di certo la giustizia amministrativa e contabile hanno dato uno scossone al sistema, ma dall’eliminazione della segretezza delle gare è iniziato un nuovo corso. Le prime gare ponte del sopravvitto, in Calabria, sono andate alla grande distribuzione rompendo il monopolio che, invece, persiste nel segmento del vitto premiando sempre le solite dieci imprese. Imprese, già riunite in un’associazione, che da decenni si dividono l’affare milionario e che ora fanno ricorsi sulle assegnazioni perché vogliono bloccare quello che sembra l’inizio della fine del grande scandalo del carrello, tollerato per decenni dallo stato.

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