Il grande numero di ratti nelle città, i metodi spesso dolorosissimi con cui vengono uccisi, il pressing delle associazioni animaliste e l'impatto drammatico che i rodenticidi hanno sulle altre specie di fauna selvatica hanno messo in moto una serie di riflessioni sui metodi alternativi alla derattizzazione. Anche perché lo sterminio di per sé non rimuove le cause del problema
La gestione dei topi nelle città è oggetto di grande attenzione da parte delle istituzioni, ma ha da sempre un’unica soluzione: la derattizzazione.
Perciò, quando Parigi nel 2023 ha annunciato di voler cambiare strategia, puntando verso un sistema di “coabitazione” con i ratti, formando un comitato con il compito di monitorare la situazione e agire sulla prevenzione e sulla sensibilizzazione della popolazione (umana, s’intende), la notizia è stata accolta con grande clamore e ha superato i confini nazionali ed europei.
I topi fanno parte di quel gruppo di animali detti liminali, cioè animali che vivono con noi nelle città, ma non sono addomesticati. Non fanno tenerezza, spesso danno solo fastidio o provocano repulsione, per cui il loro sterminio sembra una cosa normale e necessaria. Oltre ai topi, anche i piccioni, i cinghiali, i passeri, i ricci sono animali liminali, ma è soprattutto la convivenza con questi roditori a essere un problema trasversale, da New York a Parigi, da Roma a Milano, senza ancora un vero e proprio rimedio.
Il grande numero di ratti nelle città, i metodi spesso dolorosissimi con cui vengono uccisi (come le trappole adesive in cui gli animali agonizzano anche per giorni o l’uso di rodenticidi, anticoagulanti che causano loro emorragie interne dopo un lungo periodo di sofferenza), il pressing delle associazioni animaliste e l'impatto drammatico che i rodenticidi hanno sulle altre specie di fauna selvatica hanno messo in moto una serie di riflessioni sui metodi alternativi alla derattizzazione. Anche perché lo sterminio di per sé non rimuove le cause del problema.
Esperienze internazionali
Di Parigi si è già detto: secondo Amandine Sanvisens, la cofondatrice del gruppo animalista francese PAZ, «in seguito alle nostre richieste, la città di Parigi ha annunciato l'avvio di un gruppo di lavoro sulla coabitazione con i ratti». Anche New York sta cercando nuovi modi di convivere con questi roditori. Un anno fa, il consigliere comunale Shaun Abreu ha presentato un disegno di legge per un programma pilota di contraccezione per i ratti tramite pellet commestibile che porterebbe alla riduzione della loro capacità riproduttiva. L’idea è quella di distribuire contraccettivi per topi nelle “zone di mitigazione”, cioè aree in cui sono già in campo strategie non cruente per limitare la prolificazione di questi animali. La proposta di legge è stata approvata e il progetto pilota è in partenza.
Si tratta, a Parigi come a New York, di tentativi che per il momento evolvono accanto a una strategia più ampia che, pur non escludendo la derattizzazione, tiene in considerazione altre variabili, come un’adeguata gestione dei rifiuti. Se, infatti, sugli altri metodi c’è dibattito, su questo c’è un consenso piuttosto unanime. A New York, la cosiddetta “zarina dei ratti”, Kathleen Corradi, a capo di una task force nominata dal comune, ha ordinato la containerizzazione dei rifiuti, sostenendo, in un discorso pubblico, che questo metodo avrebbe ridotto la popolazione dei ratti, tagliando loro i viveri. Lo stesso Abreu sta inaugurando da tempo, in diverse zone della città, nuovi contenitori per rifiuti ad alta tecnologia, gli Empire Bins. Ultimamente, l'Upper West Side ha ricevuto questi bidoni e dal primo giugno partirà un programma pilota nel quartiere di Hamilton Heights. In Italia, l’associazione ambientalista OIPA sostiene che «la presenza dei ratti è dovuta a una gestione scorretta degli spazi e alla negligenza umana».
Uno studio della rivista scientifica Science Advances, pubblicato a inizio anno, ha analizzato 16 città in tutto il mondo per stimare le tendenze nelle popolazioni di ratti, evidenziando che solo in tre di esse si sono registrate diminuzioni. Tra queste, Tokyo che, secondo l’analisi, «ha elevate aspettative culturali che promuovono elevati standard igienico-sanitari».
Tre variabili
Lo studio dimostra che ci sono almeno tre variabili collegate all’aumento dei ratti urbani: il riscaldamento climatico, l’urbanizzazione e la densità della popolazione. Il climate change richiede normative internazionali, l’urbanizzazione è difficile da invertire ma – spiega lo studio – le città possono agire concretamente su alcune strategie per rallentare l’aumento dei ratti. Si tratta di strategie di gestione integrata dei parassiti, che puntano a rendere l'ambiente urbano meno favorevole per questi animali, piuttosto che alla rimozione diretta dei ratti presenti, come le «moderne pratiche di gestione dei rifiuti e degli sprechi alimentari».
In effetti, ricorda ancora lo studio, tra la fine del 2023 e l'inizio del 2024, il governo di NYC ha implementato in alcune zone nuove politiche (come gettare i rifiuti nei container, posticipando l’orario). I dati hanno indicato che il numero di denunce di ratti in quelle aree della città potrebbe essere diminuito. Anche il rodentologo urbano Michael Parsons pensa che buona parte del problema possa essere risolto con questo approccio. «Penso che i ratti non siano il "nemico" – dice – sono organismi intelligenti, senzienti e resilienti che prendono il cibo che viene lasciato in giro. Sono le abitudini antigieniche delle persone i veri "nemici”. Per questo, non sono d’accordo con i programmi che continuano a considerare i topi come antagonisti. Quello che si dovrebbe fare è punire/multare le persone per i loro rifiuti. Invece, trasformiamo i ratti in nemici perché abbiamo paura di guardare allo specchio i veri ratti che stanno creando questo problema. I topi stanno solo prendendo ciò che gli diamo».
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