Una ricerca di Ipsos presentata al Festival del giornalismo culturale di Urbino, accompagnata da interviste a un gruppo di esperti, indaga sui mutamenti di lingua e linguaggi contemporanei
Cosa pensano gli italiani della loro lingua? Credono che i media e i social network stiano dando un contributo positivo o negativo nel suo mutamento? Sono questi i temi sui quali indaga la ricerca di Ipsos, “I” come Itagliano. Lingua e linguaggio nell’Italia post-pandemia, presentata l’8 ottobre scorso al Festival del giornalismo culturale di Urbino.
I dati raccolti da Ipsos si accompagnano all’approfondimento coordinato dalla professoressa Lella Mazzoli, docente di Sociologia della comunicazione all’università Carlo Bo e direttrice del Festival, oltre che dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino. Per questa indagine, sono stati intervistati sette esperti: i linguisti Giuseppe Antonelli e Valeria Della Valle, i giornalisti Giacomo Giossi e Alessandro Zaccuri, la sociolinguista Vera Gheno, la divulgatrice scientifica Silvia Bencivelli e il semiologo Gianfranco Marrone.
Media e linguaggi specialistici
Uno dei temi affrontati dalla ricerca è quello del ruolo dei media e nello specifico degli inserti culturali dei giornali. Secondo il gruppo di esperti sentiti, oggi sono soprattutto i comunicatori a guidare le mutazioni linguistiche. Ma rispetto al passato, i media hanno modificato il loro ruolo: mentre un tempo erano uno strumento di forte mediazione culturale, oggi anche negli inserti culturali scrivono i giornalisti, uno sviluppo che favorisce la volgarizzazione della lingua.
«Vi è una sorta di impigrimento, di mancanza di intraprendenza da parte di comunicatori, scrittori, da cui può discendere l’intraprendenza dei parlanti (dei soldati semplici della parola che poi sono quelli che vincono le battaglie)», ha commentato nella ricerca il giornalista Alessandro Zaccuri.
Anche dalla popolazione generale, media e inserti culturali non sono visti come un aiuto per migliorare nell’uso della lingua italiana: il 42 per cento degli intervistati ha detto che non lo sono abbastanza, il 20 per cento che non lo sono per niente.
Un altro tema posto è quello dell’uso di registri e linguaggi differenti nella comunicazione. «Il Covid», sottolinea per esempio la prof. Mazzoli, «è stato un impulso forte nel recuperare la specializzazione: ma ci sono tanti altri linguaggi specialistici e non dovremmo aspettare una catastrofe per usarli».
Superare la binarietà
La ricerca si interroga anche sulle soluzioni volte a rendere la lingua più inclusiva. Gli italiani che dicono di non essersi mai imbattuti in forme grafiche che vogliono superare la binarietà di genere, come la schwa o l’asterisco, sono il 22 per cento. Una quota che scende sotto il 10 per cento se si considerano solo gli intervistati di età compresa fra i 18 e i 24 anni. Per il 26 per cento degli intervistati, si tratta però di una discussione «irrilevante», mentre per il 28 per cento schwa e asterisco sono esagerazioni di difficile comprensione.
«È un problema al quale abbiamo dedicato ampio spazio anche durante il festival»,commenta Mazzoli, «la promozione dei un linguaggio che superasse la binarietà era uno dei nostri obiettivi. Ma mentre esistono soluzioni grafiche efficaci per l’italiano scritto, rendere inclusivo allo stesso modo la lingua parlata è molto complicato».
Il ruolo della scuola
È invece generalmente negativo il giudizio che gli italiani danno della formazione linguistica offerta dalla scuola. Di fronte alla domanda «la scuola oggi forma adeguatamente i giovani all’uso corretto dell’italiano, sia scritto che parlato?», il 42 per cento degli intervistati ha risposto «non abbastanza», mentre il 26 per cento ha detto «per niente».
Ma questo giudizio cozza con quello degli esperti, che evidenziano delle criticità, come il rischio che all’inglese sia dedicato troppo spazio, a scapito dell’italiano, ma hanno uno sguardo in generale positivo sul mondo dell’istruzione.
I social network
Il 33 per cento delle persone sentite da Ipsos è «molto d’accordo» con l’affermazione «la comunicazione online ha impoverito la nostra capacità di esprimerci in italiano corretto». Mentre il 35 per cento pensa che «oggi online si leggono errori gravi di italiano, anche su siti o pagine di giornali e di informazione».
Gli esperti intervistati tratteggiano un quadro più ambivalente rispetto a quello della popolazione generale. Viene per esempio sottolineato il ritorno alla scrittura da parte di persone che ormai non la utilizzavano che è stato favorito dai social, per quanto in forma breve. Ma alcuni esperti, come la sociolinguista Vera Gheno, mettono in evidenza i rischi connessi alla povertà dei riferimenti che si trovano nel contesto social e alla perdita di varietà nella propria dieta mediale.
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