A Roma ci sono i cinghiali che scorrazzano per la città, punti panoramici chiusi da mesi, la ditta di famiglia dell’uomo a processo con il clan Di Silvio che fa incetta di appalti e proroghe, ma il sindaco, Roberto Gualtieri, ha sempre lo stesso asso nella manica: l’inceneritore.

Da quando si è insediato dribbla ogni critica con l’annuncio della macchina mangia-rifiuti. Che siano dichiarazioni ai giornali e alle televisioni, il primo cittadino e i suoi fedelissimi non cambiano narrazione: è da lì che passa il rilancio di Roma. Ospite di Fiorello a Viva Rai 2, Gualtieri ha detto che è la scelta migliore.

Un impianto che, ha assicurato, non sarà un ostacolo alla raccolta differenziata, anche se le notizie degli ultimi giorni confermano che il prodigioso inceneritore brucerà 600mila tonnellate all’anno allontanando l’obiettivo di una differenziata al 65 per cento, anche perché sono stati installati nuovi cassonetti stradali e il ministero ha annunciato che non finanzierà gli impianti di compostaggio della città.

La promessa del sindaco commissario

Il provvedimento legislativo che ha dato pieni poteri a Gualtieri come commissario per realizzare l’impianto è una delle ragioni che hanno portato alla crisi del governo di Mario Draghi. La città e la regione Lazio sono già state commissariate in passato nella gestione dei rifiuti, in due occasioni, con risultati fallimentari.

Il sindaco nomina l’inceneritore in ogni occasione pubblica, dalla festa dell’Unita ai vertici istituzionali, fino agli incontri con i suoi omologhi europei. Ma sull’entrata in funzione dell’impianto le date cambiano.

«Vorremmo concludere il termovalorizzatore entro l’arco della consiliatura e possibilmente entro il Giubileo», diceva nell’aprile scorso, ma di recente è apparso più prudente: «L’impianto dovrà essere operativo nell’estate del 2026, forse anche prima».

E la differenziata? Addio impianti

In realtà, insieme al forno mangia-rifiuti, il primo cittadino prospettava anche l’aumento della raccolta differenziata. Ma il piano regionale e le esperienze pregresse indicano esattamente il contrario. Un impianto che brucia rifiuti conviene a chi lo costruisce e a chi lo gestisce se ha un quantitativo certo di conferimento, ma se aumenta la raccolta differenziata quel quantitativo si riduce e l’investimento non è più conveniente. «Il nostro piano rifiuti prevede per il 2030 una produzione totale dei rifiuti che diminuisce dell’8,3 per cento rispetto a quella attuale e la differenziata che cresce fino al 65 per cento, ma rimarrebbero comunque più di 700mila tonnellate di scarti non recuperabili», dice Sabrina Alfonsi, assessora all’Ambiente del comune.

L’Ue ha chiesto all’Italia, così come agli altri paesi dell’Unione europea, di applicare entro il 2035 il modello 65-25-10. Il 65 (per cento) indica l’obiettivo di riciclo, ovvero il livello a cui deve arrivare la raccolta differenziata. La capitale è ferma al 46 per cento, con una raccolta prevalentemente con cassonetti. Una modalità “sporca” che abbassa la percentuale reale. Tutto quello che non è differenziato, oggi, finisce in impianti intermedi e poi in discarica o in bruciatori, domani tutto nel grande forno romano.

La raccolta differenziata prevede di separare le frazioni: carta, plastica, vetro, metalli e umido. Nel centro-sud, anche a Roma, un terzo dei rifiuti prodotti ogni giorno è rappresentato dagli scarti alimentari. La capitale ha un solo impianto di compostaggio, a Maccarese, datato e che non soddisfa il fabbisogno della popolazione residente.

«Abbiamo presentato i due piani per i biodigestori anaerobici e li faremo con i soldi del Pnrr così come gli impianti di selezione», diceva Gualtieri nel marzo scorso promettendo la realizzazione entro il 2026. I biodigestori e gli impianti di selezione servono proprio a trattare l’umido, la carta e il vetro, le frazioni differenziate dei rifiuti. Ma pochi giorni fa è arrivata la risposta dal ministero dell’Ambiente: Roma non riceverà neanche un euro dei 100 milioni richiesti. «Una scelta sbagliatissima», ha detto il primo cittadino.

Dal ministero fanno sapere che i criteri erano oggettivi e inevitabile l’esclusione nonostante gli annunci del primo cittadino. E adesso come verranno costruiti gli impianti promessi, ma soprattutto quando? «Per reperire le risorse agiremo in tutte le sedi istituzionali, a partire dalla discussione sulla prossima legge di Bilancio. Evidentemente è presto per indicare date attendibili per l’avvio dei lavori e per il completamento degli stessi», dice Alfonsi.

La proroga per Del Prete

Intanto a metà ottobre l’Ama, l’azienda del comune di Roma che si occupa di rifiuti, ha prorogato il servizio di raccolta degli ingombranti a un raggruppamento temporaneo di imprese. Tra queste compaiono anche Del Prete e Del Prete waste, aziende di proprietà dei familiari di Raffaele Del Prete, imprenditore che ha patteggiato in un’inchiesta per corruzione ed è, in un’altra vicenda, a processo per voto di scambio politico mafioso con un boss pentito della famiglia criminale dei Di Silvio, imparentati con i Casamonica.

C’è un’ultima fotografia che mostra l’attenzione alla raccolta differenziata dell’amministrazione capitolina e risale a qualche giorno fa, con il sindaco, l’assessora e i vertici di Ama immortalati al fianco di nuove campane per la raccolta del pattume. Campane che non sono dotate di lettore magnetico e che, come tutti i cassonetti stradali, non garantiranno una differenziata di qualità (l’unico modello efficiente è quello del porta a porta).

«Sono predisposti per il successivo upgrade con i lettori di tessere magnetiche, il piano dell’Ama prevede un modello misto e l’aumento della popolazione da modalità riconducibili al porta a porta dall’attuale 33 per cento al 45 per cento», assicura Alfonsi. A proposito di numeri, uno è inesorabile, pur considerando l’incendio di un impianto e il problema degli sbocchi. In un anno la raccolta differenziata, a Roma, è aumentata solo dello 0,5 per cento, un altro segnale che conferma l’unica strada percorsa: bruciare tutto.

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