Pubblichiamo la lettera di Guido Ruotolo e la risposta di Attilio Bolzoni sul dibattito riguardo all’attendibilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Maurizio Avola nel nuovo libro, “Nient’altro che la verità”, di Michele Santoro e Guido Ruotolo.

«Anche oggi il quotidiano Domani, con un editoriale di Attilio Bolzoni, commenta “Nient’altro che la verità” scritto da Michele Santoro con la mia collaborazione. E dopo Enrico Deaglio e Claudio Fava anche Bolzoni denuncia l’inattendibilità di Maurizio Avola, l’ex killer di Cosa nostra della famiglia di Catania. Bolzoni non spiega da quando e perché Avola é una «grande patacca». Nella requisitoria al processo su Matteo Messina Denaro, conclusa il 17 luglio del 2020, il pm di Caltanissetta Gabriele Paci, ha pronunciato questo giudizio sull’ex killer Maurizio Avola: «Si richiamano le dichiarazioni rese dal collaboratore Avola... A riscontro delle quali, si rammenti che, in attuazione della strategia elaborata nelle riunioni di Enna, venne eseguito il 2 novembre ‘91 l’attentato dinamitardo che distrusse la villa di Pippo Baudo, ubicata in Santa Tecla, nei pressi di Acireale».

Gli autori delle recensioni del nostro libro, e Domani che le ha pubblicate, dovrebbero spiegare finalmente perché Avola non è attendibile. Naturalmente non basta un comunicato della Procura di Caltanissetta, una forma irrituale che non può essere considerata una sentenza, per bollare dal punto di vista giudiziario l’inattendibilità di un collaboratore le cui dichiarazioni hanno fatto condannare finora gli autori e i mandanti di almeno trenta omicidi. In attesa delle vostre prossime puntate, senza ovviamente dare la parola agli interessati, cordiali saluti Guido Ruotolo».

Risponde Attilio Bolzoni

«È assai singolare e anche un po’ obliquo che mi venga chiesto di spiegare l’inattendibilità di Avola. Dopo quelle 400 pagine in cui il mafioso catanese vomita “confessioni” sulla strage Borsellino e dopo le smentite secche della procura di Caltanissetta, dovrebbero essere proprio gli autori a dimostrare l’attendibilità della fonte. E non il contrario. Sono loro che hanno messo la firma su “Nient’altro che la verità” manifestando così tanto entusiasmo per Avola. Quali verifiche hanno fatto Santoro e Ruotolo prima di dare alle stampe la loro opera? C’è un testimone – uno solo – che ha confermato la versione del mafioso catanese? Chi ha visto Avola a Palermo alle 16,59 del 19 luglio del 1992? Chi può fornire un dettaglio, un piccolo segno della sua presenza in via D’Amelio quella domenica di ventinove anni fa? Basterebbe un indizio. Ma c’è niente, il vuoto, c’è solo uno sproloquio a scoppio ritardato, ci sono solo “clamorose rivelazioni” rese in interrogatorio quasi un trentennio dopo e smontate dagli inquirenti per totale mancanza di riscontri. È una mossa furbesca quella di pretendere spiegazioni, quando Ruotolo e Santoro non ne hanno fornita nemmeno una pur avendo divulgato le panzane di Avola con una spregiudicatezza da mettere i brividi.

Costretto a tornare sulla questione ribadisco che quel titolo, “Nient’altro che la verità”, è protervo e trasporta un’incultura profonda davanti a una vicenda così complessa come l’uccisione del procuratore Borsellino. Il resto è pura sceneggiata napoletana. È lo stesso Ruotolo che ce lo conferma sul suo profilo Facebook, a proposito dell’ingessatura al braccio che Avola portava nel luglio ‘92. Qualcuno chiede: «Come lo spieghi il braccio ingessato?», Ruotolo risponde: «Era un gesso molto largo che si sfilava per andare a mare o fare omicidi e stragi». Bagni e bombe, tintarella e tritolo. Ecco lo straordinario riscontro di Nient’altro che la verità: il gesso largo».

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