Marko Rupnik, il sacerdote e artista accusato di aver abusato di diverse donne ed espulso dalla Compagnia di Gesù lo scorso 14 luglio, è stato incardinato nella diocesi di Capodistria dal vescovo Jurij Bizjak alla fine di agosto. La voce in Slovenia girava da tempo, ma fino a ieri non si aveva alcuna conferma ufficiale. Secondo quanto ha dichiarato il vicario generale Slavko Rebec, «il vescovo di Capodistria ha accettato sulla base del decreto di dimissione di Rupnik dall'ordine dei gesuiti e sulla base della richiesta di ammissione di Rupnik alla diocesi di Capodistria».

L'incardinazione del sacerdote è avvenuta «sulla base del fatto che non era stata emessa alcuna sentenza giudiziaria nei confronti di Rupnik – prosegue monsignor Rebec – chiunque risulti accusato di un reato penale ha il diritto di essere presunto innocente fino a quando è giudicato colpevole in base alla legge, in un procedimento pubblico in cui gli viene data la possibilità di difendersi». Il vicario mette le mani avanti e cita anche la Dichiarazione dei diritti umani all'articolo 11.1, quando ribadisce che «fino a quando Rupnik non sarà condannato, gode di tutti i diritti e le libertà fondamentali dei sacerdoti diocesani».

La nomina

Tutto a posto, quindi? Rupnik torna a casa, nella diocesi dove è stato ordinato prete nel 1985, e ricomincia da capo? Un po' difficile da credere. Innanzitutto, Rupnik non ha intenzione di chiudersi in qualche parrocchia della provincia slovena, ma aveva semplicemente bisogno di un vescovo che lo accogliesse formalmente per poter continuare a esercitare il ministero come sacerdote diocesano. Infatti non si trova attualmente a Capodistria e né ci lavorerà, ma è «ufficiosamente» a Roma, come ha dichiarato candidamente don Božo Rustja, portavoce della diocesi di Capodistria, ripreso da Družina.

È da notare che il vescovo di Capodistria ha dato le dimissioni più di un anno fa per ragioni di età (ha compiuto 75 anni nel febbraio 2022) ed è in attesa che papa Francesco nomini un successore. Secondo quanto si dice nella chiesa slovena, la sedia da vescovo a Capodistria era già pronta per Ivan Bresciani quando è scoppiato lo scandalo Rupnik e tutto è stato congelato. Bresciani, già vicedirettore del Centro Aletti e per sei anni provinciale dei gesuiti in Slovenia, è fra i fedelissimi di Rupnik ed è uscito dalla Compagnia di Gesù poco dopo l'espulsione del confratello.

Sempre secondo quanto riferisce Družina, anche altri tre ex gesuiti sloveni del Centro di via Paolina sarebbero stati accolti dal vescovo Maksimilijan Matjaž nella diocesi di Celje, a una settantina di chilometri dalla capitale, ma manca ancora la conferma ufficiale.

Guardando agli ultimi avvenimenti che riguardano l'affaire Rupnik, è difficile non pensare a una manovra studiata a tavolino con un'accurata attenzione alla tempistica (l'espulsione di Rupnik dalla Compagnia è stata annunciata pubblicamente a metà giugno), in modo da evitare di sollevare future obiezioni formali.

Seguiamo la cronologia degli eventi: a Capodistria si formalizza l'incardinazione a fine agosto, ma facendo attenzione a non dirlo a nessuno e senza specificare quando è stata avanzata la richiesta da parte di Rupnik. Il 18 settembre il vicariato di Roma pubblica l'esito della visita canonica al Centro Aletti di don Giacomo Incitti, docente di diritto canonico alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, in cui si dice che al Centro Aletti, di cui Rupnik è la mente, «è presente una vita comunitaria sana e priva di particolari criticità» e si avanzavano addirittura «fondati dubbi» sul procedimento di scomunica imposta al sacerdote nel 2020 per aver assolto una donna dopo un rapporto sessuale.

Vittime dimenticate

Pochi giorni prima si era tenuta l'amichevole udienza con il papa della direttrice del Centro, Maria Campatelli. A fine ottobre, infine, la diocesi di Capodistria si decide a diffondere la novità su Rupnik incardinato e i media sloveni, di solito non così reattivi sul tema, si precipitano a pubblicare la notizia (tuttora non disponibile sul sito della diocesi), quasi l'avessero avuta pronta nel cassetto da tempo. Il tutto, naturalmente, senza una parola per la sofferenza e la richiesta di giustizia delle vittime dell'ex gesuita.

È da capire quali saranno le prossime mosse di Rupnik, ma con ogni probabilità vedremo nuovi mosaici con la sua firma uscire dall'atelier artistico del Centro Aletti, che peraltro non ha mai smesso di essere operativo. Lungi dall'essere la parola fine su una vicenda intricata che affonda le radici in Vaticano, quest'ultimo capitolo apre in realtà la strada a nuovi scenari per la chiesa in Slovenia e a Roma.

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