Nei giorni in cui si celebra il quarantesimo anniversario dello scudetto del Verona, la squadra dell’ultimo scudetto eretico è retrocessa per la prima volta nella storia in terza divisione. Quattro cambi in panchina, un tentativo estremo e sentimentale fatto delle ex vecchie glorie. E in città i genoani festeggiano
I tamburi della notte sono stati i clacson dei genoani che hanno scelto la loro piazza, piazza Alimonda – quella degli scontri più duri e sanguinosi del G8 del 2001 – per festeggiare la loro fame di revanche, il desiderio spietato di vedere l’eterna rivale finire nello stesso abisso che due volte li aveva accolti, creando una biblioteca di Babele di battute altrettanto spietate, di invenzioni grafiche, di tentativo di archiviazione di un tempo lontano: il Genoa, con il suo ultimo titolo conquistato un secolo fa, era il passato, la Sampdoria il presente, il futuro, l’arrivo nell’aristocrazia dell’evo moderno.
E ora l’umiliazione sta toccando il segno del pareggio: anche loro in C, anche loro sconfitti da avversarie che vengono dal nulla. Se al Genoa erano toccate, in giornate memorabili per disdoro, Montevarchi e Castel di Sangro, la Sampdoria protagonista di questa piccola “caduta degli dei” viene battuta dalla Juve Stabia e dalla Carrarese.
Sampdoria, da Wembley a Castellamare di Stabia, tutto nel segno di un maggio che è stato rivoluzionario e ferale e che renderà frettolose le celebrazioni, fra un anno, dell’ottantesimo anniversario “ab Samp condita” quando qualcuno un tempo scrisse che «ci risvegliammo tutti antifascisti e sampdoriani».
Un poeta ha scritto che aprile è il mese più crudele. Nel caso della squadra con la maglia più originale, blu e cerchiata (una maglia da ciclisti, hanno sempre detto con scherno i genoani), il mese sospeso tra la primavera e l’estate, gradevole in questa città di mare a meno non soffi lo scirocco, è stato a lungo generoso prima di questo finale di partita, di una retrocessione che è una condanna e un verdetto: la Sampdoria faceva parte delle sette squadre che non erano mai scese cosi in basso, in compagnia delle torinesi, delle milanesi, delle romane.
La gloria
Scorrere gli archivi della memoria e della passione per imbattersi nel 19 maggio 1991 quando, in un Ferraris da 40.000 spettatori, venne festeggiato lo scudetto e, 366 giorni dopo, quando venne sfiorata la conquista della Coppa dei Campioni nello stadio londinese simbolo di una certa grandeur imperiale prima che le sue strutture subissero una profonda mutazione. La botta di Ronald Koeman, detto Rambo, venne a supplementari inoltrati, per il primo successo del Barcellona. Prima, Gianluca Vialli aveva visto un suo tiro perdersi di poco a lato: la palla vicina alla base del palo. Doloroso, come il gol mancato da Niang che avrebbe significato salvezza da quello sprofondo.
Era la Sampdoria di Paolo Mantovani che cambiò la sampdorianità: aveva i mezzi, aveva visto sorgere in sé la passione e sapeva quanto, imporre una nuova realtà, potesse pesare, influenzare l’opinione della gente, il gusto, le scelte. Con Mantovani non nacque soltanto una squadra in cui, uno dopo l’altro, vennero allineati talenti (l’etichetta è ancora e sempre quella di Vialli e Mancini, ma non c’erano solo loro…) affidati alle abilità tattiche, e molto spesso dialettiche, di Vujadin Boskov.
Il fenomeno
C’era qualcosa di più: la sensazione della nascita di un fenomeno, di un cambiamento che coinvolse il pubblico femminile e una nuova classe di giovani, più o meno rampanti. La Sampdoria non era più la squadra delle periferie (e, si diceva, degli emigrati), opposta al rossoblù del centro, popolare, borghese, in certi casi patrizio. Era qualcosa di nuovo, di ambizioso: un ascensore sportivo e sociale, azionato da chi, Mantovani, si concedeva poco e amava confezionare slogan che sarebbero rimasti: «Preparate i passaporti», quando iniziò l’assalto alla fortezza Europa che sarebbe culminata in altri giorni di maggio: 10 maggio 1989, Berna, finale di Coppa delle Coppe, Barcellona-Sampdoria 2-0; 9 maggio 1990, Goteborg, finale di Coppa delle Coppe, Sampdoria-Anderlecht 2-0. Maggio è il convitato non segreto di una storia di successi e di un naufragio sulla costa campana.
Negli anni questa creatura, ricordata dai vecchi al massimo per un quarto posto agli albori degli anni Sessanta, era cresciuta, era diventata di moda, aveva persino contribuito alla nascita di un circolo esclusivo, il Cerchio Blu, in cui confluivano suiveur di un certo peso, non genovesi o di genovesi che avevano cercato fortuna altrove. La Sampdoria era diventata un’alternativa al solito potere esercitato dall’asse Milano-Torino, con periodiche intromissioni romane. E a questo “partito” aderivano personaggi di fama crescente: Fabio Fazio, Maurizio Crozza, Corrado Tedeschi. L’ultimo acquisto, per notorietà e dato anagrafico, è Olly, il giovane trionfatore di Sanremo con radici rugbystiche.
La polvere
La sabbia è scivolata nella clessidra: Mantovani è scomparso, l’erede, Enrico, non aveva né la volontà né il desiderio di impersonare una figura carismatica. Dopo una parentesi della famiglia Garrone (con qualche colpo d’ala), il timone è passato a una pittoresca figura, Massimo Ferrero, imprenditore romano attivo nel cinema. La gestione non è stata pari alla sua autobiografia Una vita al Massimo.
La decadenza dell’impero blucerchiato va avanti, tra tentativi di salvataggio di cui è protagonista anche Gianluca Vialli, prima che la malattia lo devasti e lo costringa all’ultima resa. Gli ultimi mesi sono stati una lenta e costante discesa agli inferi: quattro cambi in panchina sino all’ultimo tentativo di salvataggio tentato da chi, a quella Sampdoria che fu, è rimasto sentimentalmente legato: Alberico Evani, Attilio Lombardo, Giovanni Invernizzi e Roberto Mancini, il più avvinto a quegli anni memorabili.
Non è servito e ora il calcio di Genova e provincia è all’ABC: Genoa in alto con una certa tranquillità da tempo acquisita, Entella tornato dove una cittadina come Chiavari ha l’orgoglio di essere, Sampdoria e Sestri Levante nell’arcipelago della serie C.
Al Mercato Orientale, la piccola Boqueria di Genova, ieri è stato un incrocio di battute acide come gli ultimi aranci, di silenzi, di sogni perduti.
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