I giudici della corte d'assise d'appello di Palermo hanno depositato questa mattina le motivazioni dell’assoluzione degli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno nel processo trattativa Stato-Mafia. 

Nel documento, lungo 2.971 pagine, si conferma come la trattativa sia avvenuta ma che tutto ciò non comporta reato dal momento che avvenne non per motivi di protezione di un singolo o più figure politiche ma per tutelare l’intera collettività nazionale. 

«Scartata in partenza l'ipotesi di una collusione dei carabinieri con ambienti della criminalità mafiosa; e confutata l'ipotesi che essi abbiano agito per preservare l'incolumità di questo o quell'esponente politico, deve ribadirsi che, nel prodigarsi per aprire un canale di comunicazione con Cosa Nostra che creasse le premesse per avviare un possibile dialogo finalizzato alla cessazione delle stragi», si legge nelle motivazioni. 

La trattativa, dunque, ci fu e fu «accettata da Riina» e andò avanti con l’apertura di un «canale di comunicazione» con la mafia. Ma a motivare i vertici del Ros erano «fini solidaristici», più nello specifico «la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale e di tutela di un interesse generale e fondamentale dello Stato».

Confermate invece le condanne per i capi mafiosi, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà per l’esistenza di una trattativa, che dunque è provata, anche se definita «improvvida iniziativa».

Confermati i contatti con Ciancimino 

Il fatto non risulta reato dato che fu un’attività volta a tutelare l’interesse nazionale, nell’interpretazione dei giudici. Nelle motivazioni della sentenza comunque si certificano i contatti tra gli ex vertici del Ros e Vito Ciancimino: «Vito Ciancimino fu contattato, prima da De Donno poi anche da Mori personalmente, sì, certamente per acquisire da lui notizie di interesse investigativo, ma, nel contempo, anche con il dichiarato intendimento di tentare di instaurare, attraverso lo stesso Ciancimino, un dialogo con i vertici mafiosi finalizzato a superare la contrapposizione frontale con lo Stato che i detti vertici mafiosi avevano deciso dopo l'esito del maxi processo e che era culminata già, in quel momento, con la gravissima strage di Capaci», si legge nelle carte. 

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