Chi non vuole le scorie? Tutti. E quindi, alla fine, deciderà Roma. È questa la parabola perfetta della procedura avviata formalmente dal ministro Gilberto Pichetto Fratin oggi con l’approvazione della Cnai (Carta nazionale delle aree idonee). Da ora si apre la “fase volontaria” per individuare il sito del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, ma nessuno – né Regioni né Comuni – si è candidato. Nessuno lo farà. E l’esito è già scritto: la decisione arriverà per decreto presidenziale, dopo una trafila che sembra più una sceneggiatura che un reale processo democratico.

Pichetto ha parlato di «pluralità di passaggi e confronti con le realtà territoriali». Ma gli step annunciati – manifestazioni di interesse, trattative bilaterali, comitati interistituzionali, conferenza unificata – sembrano il percorso per accumulare alibi. Serve dimostrare che si è provato tutto, per arrivare all’unica via davvero percorribile: la scelta dall’alto. Una procedura costruita per fallire, così da giustificare l’imposizione.

Fronte del no

La Cnai individua 51 aree idonee in sei regioni: Lazio, Basilicata, Piemonte, Puglia, Sicilia e Sardegna. Ma già prima dell’approvazione definitiva della carta, gran parte degli enti coinvolti avevano votato contro, spesso con delibere unanimi. In Piemonte, la provincia di Alessandria e diversi Comuni avevano già detto no nel 2021. In Lazio, la Tuscia è sul piede di guerra, e il Consiglio regionale ha ribadito la sua contrarietà anche in questi giorni. In Sardegna si rispolvera il referendum del 2011, dove il 97% dei votanti rifiutò qualunque ipotesi nucleare. E la Basilicata ha nella memoria collettiva la rivolta di Scanzano Jonico del 2003, con centomila persone in piazza e un progetto cancellato dopo appena due settimane.

Nessuna di queste Regioni ha intenzione di tornare indietro. Le comunità temono impatti ambientali, svalutazioni immobiliari, danni all’immagine turistica. E soprattutto, non si fidano. Lo dicono le opposizioni: «È una finta partecipazione, una sceneggiatura per dire che si è tentato il dialogo», ha dichiarato Marco Grimaldi (Avs). Per il Pd, «è grave che il governo non abbia ancora presentato un piano serio sulle compensazioni, sugli standard di sicurezza e sulla trasparenza». Riccardo Magi di +Europa parla apertamente di «un nuovo Scanzano in arrivo».

Ma le compensazioni?

Nella procedura appena annunciata manca un elemento decisivo: le compensazioni. Nessun dettaglio normativo, nessuna cifra, nessuna garanzia vincolante. E senza contropartite chiare, l’intero percorso rischia di implodere nel rifiuto generalizzato. Anche la gestione della «fase successiva» è opaca: i Comitati misti Stato-Regioni non hanno poteri precisi, né regole definite. Chi decide cosa? Come si valuta la “mancata intesa”? Tutto resta nel limbo, e ogni incertezza si trasforma in sfiducia.

Il decreto legislativo 31/2010, che regola la localizzazione, consente formalmente l’imposizione in caso di stallo. Ma il principio costituzionale della “leale collaborazione” si trasforma qui in una maschera retorica: se non sei d’accordo, sarai superato. La presenza del presidente di Regione nella delibera del Consiglio dei ministri diventa un atto simbolico. Non ha potere di veto. Serve solo a spalmare la responsabilità politica.

Tempo scaduto

Nel frattempo, l’Italia paga ogni anno circa 60 milioni per mantenere 22 depositi temporanei sparsi sul territorio. Una parte dei rifiuti viene ancora spedita all’estero – in Francia e nel Regno Unito – con costi ulteriori. La Commissione europea ha già avviato una procedura di infrazione, e il ritardo accumulato rispetto alle scadenze imposte dalla direttiva Euratom del 2011 è ormai clamoroso.

Secondo il cronoprogramma aggiornato, il deposito dovrebbe essere completato entro il 2039. Ma senza consenso territoriale – e con probabili ricorsi costituzionali, proteste, mobilitazioni – nessuna scadenza è realistica. Il rischio più concreto è una nuova lunga paralisi, fatta di carte bollate, atti impugnati e cantieri mai avviati

Il quadro è chiaro. Il governo ha bisogno del deposito per rilanciare il nucleare nel mix energetico, anche in vista dei nuovi mini-reattori previsti nel Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Pniec). Ma non può costruire consenso senza credibilità, né fiducia con decreti. Le opposizioni lo hanno capito e preparano la battaglia nei territori. Intanto la presidente del Consiglio dovrà firmare un atto che smentisce il principio stesso della collaborazione tra Stato e Regioni.

A distanza di 22 anni da Scanzano Jonico, l’Italia torna a giocare con le scorie senza aver imparato la lezione. E quando il gioco si fa atomico, anche le bugie hanno una lunga emivita.

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