Una scuola materna cattolica del Trevigiano organizza una giornata di scambio interculturale nella moschea locale, dove l’Imam illustra i pilastri dell'Islam. Tra questi: la preghiera. Così l’immagine della gita diventa l’ennesima piattaforma per il razzismo istituzionale
Attorno all’episodio della scuola materna di Susegana, nel trevigiano, attenzionata dalla politica per aver fatto una gita interreligiosa in un centro culturale islamico, ci sono almeno due elementi che meritano di essere nominati esplicitamente, e che spiegano come è stata possibile la mediatizzazione di un fatto tanto banale.
Il primo, più ovvio elemento è il razzismo che per l’ennesima volta si scatena contro le persone musulmane - detto islamofobia, o razzismo anti-islamico. Il secondo, la strumentalizzione cinica di un mondo di adulti che è disposto a portare avanti le proprie campagne a discapito dei e delle più piccole.
I fatti sono piuttosto ordinari: una scuola materna cattolica organizza una giornata di scambio interculturale nella moschea locale, dove l’Imam illustra i pilastri dell'Islam, ovvero i fondamenti su cui essa si basa - fondamenti molto simili a quelli cristiani e cattolici.
Tra questi: la preghiera. l'Imam mostra dunque come si prega nell’Islam, perché nella pratica della religione musulmana con il corpo si manifesta la sottomissione a dio, inginocchiandosi e poggiando la fronte a terra. La classe ha mimato la pratica, familiarizzandovi, per - nelle intenzioni - imparare ad apprezzare piuttosto che temere chi crede in un modo “diverso”. Diverso da chi? In questo caso, diverso da quello cattolico, perché la scuola materna in questione è una scuola parrocchiale cattolica.
Almeno dagli anni novanta in Italia vengono portati avanti progetti interculturali, con l’obbiettivo di “costruire ponti” tra modi di vivere e vedere il mondo diversi. Questi progetti sono molteplici, coinvolgono la cucina, le lingue, le festività e le religioni, e si basano sulla convinzione che la conoscenza disinneschi la paura che si può provare per ciò che ci è altro - o meglio, ciò che è altro dalla maggioranza, o dalla norma.
L’approccio interculturale è stato anche oggetto di critica negli anni, perché in un certo qual modo insufficiente a fronte del clima sempre più xenofobo e razzista.
Il centro culturale islamico visitato, Emet, è esso stesso coinvolto in percorsi di dialogo interreligioso, e ha ospitato in precedenza giornate dedicate all’incontro tra Islam e Cristianesimo. Purtroppo, l’immagine della gita piuttosto che il ricordo di un momento di scambio e scoperta è divenuta l’ennesima piattaforma per il razzismo ordinario e istituzionale del paese.
Politica paranoica
Per giorni le voci più rumorose del dibattito politico hanno urlato alla conversione forzata. Al pericolo dell’islamizzazione. Hanno riesumato Oriana Fallaci, madrina dell’islamofobia all’italiana, raccontata come una voce profetica.
Nelle parole del presidente della regione Zaia, intervistato da Il Giornale sull’episodio, si trovano tutti i nodi del discorso anti-islamico. Il politico ribadisce in maniera trasparente l’idea di una superiorità morale del cristianesimo sull’Islam («solo un cristiano può porsi il problema di non andare ad urtare un musulmano») e l’autovittimizzazione paranoica di chi rischia «l’autocastrazione identitaria» - un linguaggio apocalittico e di genere, che allude all’impossibilità della riproduzione di sé.
Non poteva mancare un riferimento sconclusionato all’idea che anche le donne siano sottomesse nell’Islam - un argomento che abbiamo imparato a chiamare «femonazionalista», ovvero che usa i diritti delle donne come alibi per discriminare le persone di culture altre da quella nazionale.
Tutto questo rumore è stato sostenuto e amplificato dal ministro Valditara, che ha richiesto una verifica da parte dell’Ufficio regionale, che ha confermato pochi giorni dopo che l’istituto aveva rispettato ogni norma e procedura.
Conseguenze indirette
Ma nonostante l’Ufficio regionale abbia chiarito che l'incidente «non sussiste», qualcosa è successo. Innanzitutto delle persone - i/le bambine - si sono trovate al centro di una polemica che non hanno gli strumenti per capire. Nessuna di loro infatti ha mostrato disagio per l’incontro.
Il tutto si consuma a livello degli adulti coinvolti. Un’esperienza pedagogica è diventata un motivo di confusione e forse vergogna o paura. Un fatto grave in sé. In secondo luogo le insegnanti apprendono che per non esporre sé stesse e le proprie alunne alle strumentalizzazioni e alla violenza della politica, è meglio che evitino determinati approccio e metodi. È meglio che si tengano distanti da certi temi, e che rinuncino ad un aspetto fondamentale dell’educazione alla vita in comune, che è quello di invitare al dialogo tra mondi diversi.
Quanto accaduto è coerente con un clima generale di individuazione e stigmatizzazione di tutte quelle docenti, educatori, progetti e programmi che tentano di coltivare una vicinanza tra esperienze differenti. Ricorda il modo in cui è stato portato alle cronache il complesso scolastico di Pioltello, e si inserisce nella cornice delle nuove linee guida ministeriali, uno spirito del tempo di matrice suprematista, che afferma la superiorità dell’occidente e della sua storia.
Il tutto per tutelare una supposta identità che suona sempre meno come una visione del mondo e sempre più come un delirio paranoico, fatto di invasioni immaginate, conversioni forzate e sostituzioni etniche. E di culture talmente volatili che si prendono così, come un raffreddore, un giovedì qualsiasi in gita con la scuola.
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