Da più di un mese la politica e l’opinione pubblica discutono della decisione della scuola di Pioltello “Iqbal Masih” di tenere le porte chiuse per l’Īd al-fiṭr, la festa di fine Ramadan. La celebrazione, caduta quest’anno il 10 aprile, è forse il momento più sentito del calendario religioso musulmano, e all’Iqbal Masih più del 40% delle e degli studenti professa l’Islam.

Il “caso Pioltello” è divenuto velocemente il paradigma di un cambiamento sociale che spaventa, tanto che il 17 aprile, durante un question time alla Camera, il ministro dell’Istruzione e del Merito, il leghista Giuseppe Valditara, sollecitato prima dal Pd e poi da Rossano Sasso (Lega), ha ribadito che «non sarà più possibile chiudere una scuola in occasione di una festività non riconosciuta dallo Stato».

Nell’interrogare il compagno di partito, Sasso ha utilizzato più volte termini come “islamizzazione” e “contaminazione”, riproponendo immaginari stereotipici e razzisti, chiamando in causa le relazioni di genere, e ricordando l’omicidio di Saman Abbas. E se il Pd si è ribellato alle provocazioni di Valditara e all’accusa di incompetenza in materia costituzionale, l’aula è rimasta in silenzio mentre Sasso snocciolava, uno dopo l’altro, i più triti luoghi comuni razzisti sull’Islam. Evidente sullo sfondo delle sue parole il tema della “sostituzione etno-culturale” – a suo avviso già in atto in Francia da trent’anni – una narrazione complottista, paranoica e vittimistica, usata dalle destre per attrarre consenso attraverso la minaccia di un’estinzione razziale.

Soglie di tolleranza della diversità

La linea del partito è quella espressa dal suo segretario, il vicepremier Matteo Salvini, che si è dichiarato da subito fortemente contrario alla decisione della scuola. In un’intervista a Porta a Porta, ha aggiunto che «finché l’Islam non si darà una struttura e non riconoscerà la parità tra uomo e donna» chiudere le scuole per celebrarne le festività è «un pessimo segnale». Salvini ha parlato di «un arretramento» e ha invitato a istituire una quota massima del 20% di presenza per classe di non meglio specificati “alunni stranieri”.

Tuttavia, la legge sulla cittadinanza in vigore in Italia, basata sul principio dello ius sanguinis, fa sì che i figli delle persone immigrate acquisiscano alla nascita lo status giuridico dei genitori, ovvero quello di cittadini stranieri residenti sul territorio nazionale. Questo significa che tra i “bambini stranieri” ci sono persone nate, cresciute, socializzate in Italia, che parlano italiano come prima o unica lingua, e che possono non conoscere il paese di origine dei genitori. In cosa consiste dunque l’essere stranieri?

Il criterio del vicepremier sembra basarsi su un’identità etno-razziale piuttosto che sull’effettiva esperienza del bambino, o su eventuali difficoltà legate all’uso di una lingua seconda – utilizzate come pretesto per immaginare un “tasso di tolleranza” del 20%, oltre il quale l’organismo scuola non sarebbe in grado di metabolizzare le diversità.

Discriminazione anti-islamica

L’arbitrarietà della catena di connessioni tra persone di fede musulmana, bambini stranieri, quote di integrazione, diritti delle donne, lingue parlate, progresso e arretramento, deve essere di per sé un elemento di studio, perché mostra in maniera lampante il razzismo anti-islamico che ne è alla base.

Il Ramadan quest’anno si è svolto in un clima di taciuto ma crescente razzismo anti-islamico. Durante il mese sacro alle persone di fede musulmana, un susseguirsi convulso di articoli di cronaca e pezzi di opinione hanno avuto come oggetto la ricorrenza, in particolare in relazione alla scuola. A essere portati sotto i riflettori – con l’intenzione precisa di stigmatizzare la pratica – sono stati in particolare l’età in cui si inizia a rispettare il precetto del digiuno, e la sua incompatibilità con lo studio, dunque il suo impatto negativo sul rendimento scolastico dei singoli e dei gruppi classe. Tanto gli articoli quanto i dibattiti televisivi e le dichiarazioni delle istituzioni rivelano come la scuola sia uno dei terreni fondamentali all’interno del quale si sta giocando la partita dell’inclusione e della trasformazione sociale.

Il segreto del razzismo

Il consiglio dell’istituto Iqbal Masih ha concordato all’unanimità la chiusura per l’Īd al-fiṭr nel 2023. L’istituto ha potuto farlo perché secondo il testo unico in materia di istruzione e la Legge n. 59 del 1997, alle scuole è garantito uno spazio di autonomia nell’adattare il calendario alle proprie esigenze specifiche. In Lombardia sono tre quest’anno i giorni di chiusura che possono essere stabiliti direttamente dagli istituti. A Pioltello è stato scelto di dedicarne uno alla celebrazione di una festività che coinvolge quasi la metà delle e degli studenti.

Ora Valditara minaccia di introdurre una disposizione che impedisca agli istituti di far coincidere i giorni di chiusura assegnati in autonomia con feste religiose e nazionali non riconosciute dallo Stato. E se la natura razzista di questa presa di posizione – e di tutto quello che è stato detto sul caso Iqbal Masih – è autoevidente, è importante far emergere anche come questo razzismo vada a detrimento dei diritti di tutte e tutti. In questo caso del diritto all’autonomia scolastica, che permette agli istituti di entrare in sinergia con un territorio, adattandosi ai bisogni reali delle persone che lo abitano.

E del resto uno dei segreti meglio custoditi del razzismo è proprio questo. Siamo portate a pensare che le discriminazioni, i rapporti di potere e la violenza si consumino solo all’interno di determinate relazioni e identità. La verità è che il razzismo non riguarda unicamente le vite delle persone razzializzate. Basti pensare a quanto il tema delle migrazioni è determinante da anni nei risultati elettorali, o a come la deriva nazionalista delle forze conservatrici abbia guidato uno slittamento a destra dell’intero spettro politico. Il caso Pioltello è la perfetta manifestazione di questo fenomeno. Il razzismo anti-islamico perpetrato dalle istituzioni politiche agisce limitando gli spazi di autonomia collettivi, ledendo in ultima istanza lo stesso principio costituzionale del diritto allo studio.

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