Il decreto scuola fissa un limite del 30% di posti assegnabili a idonei non vincitori: significa che i docenti che hanno superato tutte le prove ma con un punteggio che non li colloca nei primi posti, possono comunque essere chiamati dalle scuole. Ma se rinunciano quel posto resta vacante. Senza possibilità di scorrimento. Così in molte regioni la soglia non viene raggiunta per un mero limite procedurale
Oltre quarantottomila cattedre. È il numero che il ministero dell’Istruzione e del Merito ha celebrato per l’anno scolastico 2025/2026, tra nomine in ruolo e supplenze finalizzate all’assunzione. Un traguardo utile a rispettare le scadenze del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. Ma tra i docenti che hanno superato tutte le prove dei concorsi Pnrr, in centinaia restano esclusi. La legge li chiama “idonei”: sono candidati che hanno superato tutte le prove del concorso, ma non sono entrati nei primi posti, quelli che danno diritto immediato all’assunzione. Quei primi posti sono riservati ai “vincitori”. Gli altri restano fuori.
Il motivo è un tetto. Il decreto Scuola n. 45/2025, poi convertito nella legge 79/2025, ha fissato un limite massimo: solo il 30% dei posti banditi può essere assegnato a idonei, in subordine ai vincitori. Nessuno scorrimento integrale, nessuna deroga. Ma non è tutto. Se un idoneo rinuncia alla sede assegnata, il posto non viene riassegnato. A differenza dei vincitori, gli idonei non generano scorrimento. Il risultato è che posti formalmente autorizzati restano vacanti, mentre i candidati già valutati rimangono esclusi. Il precariato, che la riforma avrebbe dovuto contenere, viene invece rimpiazzato con altro precariato.
I numeri mostrano il paradosso. Il contingente autorizzato per il 2025/26 ammonta a 48.504 posti. Ma secondo l’elaborazione della Flc Cgil, i posti effettivamente vacanti sono almeno 52.656. Più di quattromila cattedre mancano all’appello già in partenza. Altre migliaia sono state accantonate in vista del terzo concorso Pnrr, previsto entro la fine dell’anno. Nel frattempo, molti Uffici scolastici regionali si trovano «con le mani legate», come segnalano gli stessi dirigenti: l’assenza di norme che disciplinino le rinunce degli idonei impedisce qualsiasi margine di azione.
Il 30% diventa così una quota fittizia. In Lombardia e Veneto la soglia è stata raggiunta, in Calabria e Sicilia la sua applicazione è parziale o del tutto inattuata. Secondo il comitato “Integrazione 30% Idonei”, in alcune regioni solo un terzo dei posti autorizzati agli idonei è stato effettivamente coperto. Il resto è rimasto vuoto. A pesare non è solo il limite in sé, ma l’impossibilità di colmare i posti liberati da chi rinuncia. L’effetto, per chi guarda dal basso, è quello di un’estrazione a sorte: due candidati con le stesse competenze, uno viene assunto, l’altro no. A fare la differenza è l’ufficio regionale.
Basterebbe un comma
Le richieste avanzate dagli idonei non riguardano interpretazioni, ma norme. Chiedono una modifica legislativa che consenta almeno di coprire effettivamente la quota del 30%, oppure lo scorrimento integrale della graduatoria entro i limiti del contingente autorizzato. Si tratta di posti già disponibili, già finanziati, già valutati. A mancare è solo un comma.
Tutte le principali sigle sindacali hanno criticato il meccanismo. La Uil Scuola, in audizione al Senato, ha definito «fallimentare» l’impianto di reclutamento, ricordando che dal 2016 a oggi meno del 50% dei posti autorizzati è stato coperto. La Flc Cgil denuncia l’inefficienza strutturale del sistema. Anief ha depositato ricorsi al Tar e chiesto esplicitamente l’assunzione di tutti gli idonei. Cisl Scuola e Snals propongono almeno una deroga, per evitare che centinaia di cattedre restino vacanti per ragioni puramente procedurali. In passato non è sempre andata così. Per il concorso del 2016, fu autorizzato lo scorrimento integrale. Per quello del 2018, le graduatorie furono trasformate in elenchi ad esaurimento.
Oggi invece si costruiscono barriere. Un docente che ha superato tutte le prove del concorso ma non è risultato “vincitore" scopre che il proprio nome, pur figurando in graduatoria, può valere poco o nulla. Il principio del merito, spesso evocato, cede il passo a un formalismo privo di utilità.
Secondo i dati ufficiali, in alcune classi di concorso si è verificata l’assurdità opposta: non si riesce a raggiungere nemmeno la soglia del 30% perché mancano idonei. In altre, invece, la soglia è stata saturata rapidamente, lasciando fuori decine di docenti. La rigidità della norma non tiene conto delle differenze territoriali e disciplinari. È una soglia nazionale che ignora i contesti regionali. E che produce squilibri.
Precarietà cronica
Il rischio sistemico è evidente. L’Italia si è impegnata con Bruxelles ad assumere 70.000 docenti entro il 2026. Se le procedure continuano a escludere chi ha già superato un concorso, gli obiettivi rischiano di saltare. Secondo i dati della Fondazione Agnelli, a oggi meno del 30% dei fondi Pnrr destinati alla formazione dei docenti è stato speso. La mancata copertura dei posti si traduce in ritardi strutturali, in perdite di risorse, in ricadute concrete sull’organizzazione scolastica.
Le conseguenze non sono invisibili. Ogni posto vacante non coperto da assunzione in ruolo sarà assegnato a supplenza, spesso a ottobre, con incarichi annuali. La continuità didattica – soprattutto per gli alunni con disabilità o bisogni educativi speciali – viene sistematicamente compromessa. La stabilità promessa si dissolve nelle pieghe di una norma.
Resta un punto. Il sistema seleziona, valuta, proclama l’idoneità. Poi volta le spalle. Un docente idoneo nel 2025 può ritrovarsi a dover sostenere un nuovo concorso nel 2026 per lo stesso posto, nella stessa scuola, per cui era stato riconosciuto idoneo. È così che la precarietà si riproduce. In silenzio, per legge.
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