Prosegue la pubblicazione del “Diario di bordo” dalla Sea Watch 4, la nave dell’omonima Ong tedesca che presta soccorso ai migranti. Per leggere tutte le puntate, a mano a mano che saranno pubblicate, si può tenere d’occhio questa pagina.

Sono un marinaio e i marinai obbediscono a un principio indiscutibile: chiunque si trovi in pericolo in mare deve essere soccorso. Non ci sono eccezioni né deroghe. Per questo ho deciso di lavorare per Sea-Watch a marzo di quest’anno. Inizialmente ho fatto il capo progetto nel cantiere di Burriana, in Spagna, dove Sea-Watch 4 era ancorata prima di partire per la sua prima missione ad agosto.

Adesso sono primo ufficiale e mi occupo anche della sicurezza a bordo della nave. Le mie giornate sono molto piene. Iniziano alle otto meno un quarto con la riunione quotidiana di tutti i capi dipartimento sul ponte della nave, per proseguire con il meeting dell’equipaggio. La mattinata prosegue con i controlli di cui sono responsabile: ogni giorno devo assicurarmi che tutto l’equipaggiamento destinato alla sicurezza, dagli estintori ai dispositivi salvavita, sia perfettamente funzionante e che i lavori di manutenzione siano stati effettuati regolarmente.

Il pomeriggio è dedicato alle esercitazioni e alle simulazioni: dobbiamo essere preparati per ogni emergenza, da un soccorso in mare a un incendio. C’è poi tutto il lavoro relativo all’amministrazione della nave e le pratiche per gli arrivi e le partenze dei membri dell’equipaggio. Il tempo libero non è tanto, ma bisogna fare in modo che il personale possa, ogni tanto, distrarsi. Sono io a occuparmi di questo, organizzando attività come escursioni e passeggiate, tutto rigorosamente all’aria aperta, in base al protocollo di prevenzione anti-Covid che osserviamo a bordo. Qualche volta riusciamo persino a fare un bagno in mare. A me è capitato anche di recente. D’altra parte, si sa, noi tedeschi non temiamo il freddo.

Sono un marinaio professionista da cinque anni e provengo dal settore crocieristico, nel quale per me era diventato impossibile continuare a lavorare. Ci trovavamo spesso ad attraversare la zona SAR e, mentre le persone morivano in mare, sembrava che la compagnia per la quale navigavo avesse paura di perdere guadagni e rovinare l’atmosfera vacanziera ai clienti trovandosi costretta a rispondere a delle richieste di intervento e soccorrere dei naufraghi. A me e ai miei colleghi venne chiesto di non dire nulla se avessimo visto qualcosa e mi capitò persino di ascoltare alla radio una richiesta di intervento da parte del Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo. Richiesta che ignorammo per proseguire il nostro viaggio secondo i piani.

Io non ero mai stato un attivista, ma sono cattolico e ritengo che questo modo di operare sia contrario ai miei principi cristiani, oltre che alla mia etica professionale. Non ero certamente l’unico tra i miei colleghi a pensarla così. Ci sono tante persone per bene nel mondo della navigazione commerciale. Basti pensare ai mercantili che nei mesi passati hanno affrontato difficoltà e intimidazioni di ogni tipo pur di salvare quelle vite che l’Europa vuole costringerci a ignorare. Ecco, penso che un giorno potrei tornare a lavorare su delle navi commerciali, ma ho chiuso con le crociere.

Anche adesso, con Sea-Watch 4 bloccata in porto, il senso di frustrazione è forte: abbiamo una nave di ricerca e soccorso pronta a partire e ci viene impedito di operare con delle motivazioni ridicole. A volte mi sento impotente: è una lotta di Davide contro Golia. Poi però vedo la luce negli occhi dei volontari che arrivano a Palermo da diversi paesi, tutti uniti dalla stessa convinzione. E allora la mia speranza si riaccende.

© Riproduzione riservata