Prosegue la pubblicazione del “Diario di bordo” dalla Sea Watch 4, la nave dell’omonima Ong tedesca che presta soccorso ai migranti. Per leggere tutte le puntate, a mano a mano che saranno pubblicate, si può tenere d’occhio questa pagina.

Sono delle giornate concitate, queste. Dobbiamo fare in modo di preparare la nave per ogni evenienza, fare tutti gli ordini prima delle feste, quando i fornitori saranno in vacanza ed entreranno in vigore ulteriori restrizioni anti-Covid. Io sono il nostromo di Sea-Watch 4 e le mie responsabilità sono tante: gestisco i marinai, mi occupo delle esercitazioni e della manutenzione generale della nave, dagli apparati idraulici alla pulizia e le modifiche in coperta.

Siamo rimasti in pochi, in queste settimane, e io sono quello che si fermerà più a lungo. Non so cosa aspettarmi, a livello personale e umano, da questa esperienza. Per me è la prima volta su una nave che soccorre le persone e, anche se ho dedicato gli ultimi dieci anni della mia vita al volontariato, so che questa volta sarà diverso.

Per tre anni e mezzo ho lavorato sulla nave di una Ong che si occupa di salvaguardia della fauna marina. Io sono un subacqueo e un appassionato di vela e proteggere l’ambiente marino è sempre stata una mia priorità, così mi sono imbarcato con loro e ho trascorso gli ultimi due anni in Africa Occidentale. Facevo un po’ il poliziotto del mare, pattugliando le acque in cerca di pescherecci illegali per difendere delfini, balene, foche e tartarughe.

Le tecniche hanno delle similitudini con quelle adottate dalle navi di ricerca e soccorso: c’è il pattugliamento, il lancio dei Rhib in acqua. Però la missione SAR è una cosa diversa: ti devi prendere cura delle persone che hai soccorso e portarle in salvo. Per questo parlo il più possibile con i miei compagni che sono stati a bordo quando la nave era operativa, ma per quante domande io possa fare penso che non arriverò mai a comprendere cosa si provi fino a quando non mi ci troverò in mezzo.

Per me era importante lavorare su una nave umanitaria. Io sono di Bergamo e dalle mie parti si sente parlare di soccorsi in mare per lo più in modo ostile e superficiale, come se i naufraghi non fossero esseri umani. Sentivo di dover fare qualcosa ed eccomi qui, su questa che adesso è la mia casa: una casa mobile che necessita di attenzioni e non può essere trascurata perché svolge un ruolo importantissimo.

Per questo il nostro impegno a bordo non è paragonabile a un lavoro qualsiasi. È una questione di assetto mentale: non esiste un orario in cui stacchi e te ne vai. C’è sempre bisogno di qualcosa e tu lo fai volentieri perché tutto è funzionale alle motivazioni che ti hanno spinto a candidarti come membro dell’equipaggio.

Io svolgo anche mansioni che esulano dal mio ruolo. Faccio da autista dell’automobile che abbiamo a disposizione. Capita quindi che mi debba svegliare alle quattro del mattino per accompagnare qualcuno all’aeroporto o che debba interrompere il mio lavoro per portare i membri dell’equipaggio a fare il test del Covid richiesto dal nostro protocollo.

Oggi, per esempio, stavo verniciando il copertone e ho dovuto mollare tutto per accompagnare un collega a fare il tampone. Passerò le feste lontano da casa ma ci sono abituato. È il quinto Natale di fila che trascorro via. Almeno questa volta sarò a Palermo, e non in Gabon, Liberia o Australia.

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