La trasmissione della storia e della memoria della Seconda guerra mondiale è una delle problematiche più discusse e accese attualmente presenti su questi temi. La conoscenza di quanto è accaduto è fondamentale per la formazione civica dei cittadini italiani, ma da quello che constatiamo tutti i giorni questa preparazione non sempre è adeguata, spesso anche nei luoghi preposti al suo apprendimento, come le scuole di ogni ordine e grado.

Soprattutto dopo il 2000, anno in cui è stato istituito il giorno della memoria, vi è stato un incremento esponenziale dell’insegnamento di questi argomenti, grazie al secondo comma della legge che prevede «cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado».

Questo insegnamento era già presente anche prima di quella importante data; a Rimini, la mia città, probabilmente per prima in Italia, erano stati istituiti già dal 1964 i viaggi della memoria, ma con l’introduzione di tale celebrazione vi è stata una vera e propria esplosione dell’interesse legato alla Shoah e alla deportazione razziale e politica.

Tuttavia, anche se gli sforzi messi in campo da tanti attori sono stati notevoli, dal Miur alle amministrazioni locali, dalle università agli istituti culturali preposti a promuovere e tutelare questa memoria, purtroppo il riscontro sul campo non è confortante.

Insegnanti consapevoli

Tra le tante problematiche che depotenziano l’educazione alla memoria e che sterilizzano l’effetto civile della Shoah, in base alla mia esperienza, la più significativa è lo scarto esistente tra i ricercatori storici e il corpo docente, due mondi che dovrebbero essere strettamente collegati ma fra i quali spesso non vi è un sufficiente dialogo.

Questo scollamento causa, a mio avviso, innumerevoli problematiche, dovute a una non sempre puntuale preparazione storica degli insegnanti – ricordo che la maggior parte dei docenti di storia è laureata in lettere –, ma in particolar modo al fatto che l’insegnante non abbia risolto con sé stesso le innumerevoli complessità storico educative insite nella materia.

Con quest’ultima frase intendo dire che il primo rapporto da costruire e rendere saldo, non è quello tra docente e discente ma quello del docente con sé stesso; questa riflessione deriva dal pensiero dell’ex direttore della Fondation d’Auschwitz di Bruxelles Yannis Thanassekeos, che sostiene che è lo stesso insegnante a doversi chiedere se ha chiare e risolte tutte le macro domande e questioni che si aprono sul gigantesco tema della Shoah.

Ovvero: «Sono in grado di darmi le risposte e i chiarimenti che dovrei proporre ai miei allievi?». Questa è una grande domanda che tutti coloro che affrontano questi temi dovrebbero porsi in maniera preventiva prima di cimentarsi in questo genere di percorsi.

La lezione di un insegnante che non ha chiare queste problematiche, che rendono la Shoah un evento senza precedenti nella storia e un punto di svolta (negativo) della civiltà umana, non avrà in sé gli strumenti per spiegare questa unicità e farà inevitabilmente scivolare la lezione sui temi prettamente basati su nozionismo e/o sentimentalismi.

Parlare ai più piccoli

Lo storico Enzo Traverso sostiene: «La Shoah gode di una visibilità tanto accecante quanto scarsa è la sua comprensione storica». Questa frase nella pratica quotidiana ci dice che molti sono convinti che una testimonianza o un viaggio in un campo di sterminio abbiamo effetti “taumaturgici”, ovvero che il semplice ascolto o la visita possano creare coscienze educate ai migliori principi etici. Non è così.

Questi strumenti, se non adeguatamente contestualizzati storicamente, sono improduttivi perché non consolidano la corretta riflessione che dovrebbe portare l’allievo verso una crescita morale. Questo è quanto avviene in tante scuole e classi in Italia.

È vero che ci sono insegnanti volenterosi e preparati che elaborano strutturati percorsi legati alla memoria e alla Shoah in particolare, che utilizzano più approcci storici e intrecciano vari linguaggi di comunicazione, lezioni, teatro, arte e testimonianze. Ma le scuole in cui operano sono prevalentemente secondarie di primo e secondo grado; in molti casi parlare di Shoah alle elementari è ancora un tabù, pur essendo ormai una pratica da tempo sdoganata e affinata nella sua proposta didattica.

Sono circa venti anni che mi occupo di insegnamento della Shoah e dei vari temi a essa collegati, sono arrivato a incontrare in un anno tra i 5mila e i 7mila studenti di ogni ordine e grado, a scuola e in luoghi informali, e più gli anni passano e più mi rafforzo nell’idea che il momento migliore per iniziare l’insegnamento di questi argomenti sia proprio durante la scuola primaria.

Credo che gli anni tra la quarta e la quinta elementare siano il momento migliore per piantare i semi legati ai principi di uguaglianza, della libertà, della tolleranza e del rispetto delle diversità. Sono gli anni in cui i bambini hanno maturato un minimo di spessore per poter apprendere consapevolmente queste tematiche mantenendo quel forte senso di affidamento nei confronti della figura dell’insegnante di riferimento.

Il nodo chiave dell’insegnamento della Shoah nelle scuole primarie è chiarire e aver bene presente cosa si intende con quella parola e cosa noi dobbiamo andare a insegnare.

Ai bambini delle scuole elementari non possiamo parlare di Auschwitz o di Treblinka, come pure delle camere a gas o dei treni merci che deportavano gli ebrei verso quei luoghi; a loro va insegnato cosa c’è attorno alla Shoah: il razzismo, l’antisemitismo e l’intolleranza. Ai bambini vanno raccontate storie di loro coetanei che si sono salvati dalla persecuzione nazista, la loro speranza va tutelata.

Quindi i lavori devono vertere sulle leggi razziali italiane, possibilmente su casi specifici legati al territorio d’appartenenza, che mostrino com’è avvenuta l’applicazione concreta di quella legislazione, facendo in modo che il tutto interagisca con il vissuto quotidiano di quei bambini. Un’impresa non facile ma possibile.

Strumenti adeguati

La difficoltà di questi insegnamenti alle elementari non è solo legata agli aspetti precedentemente menzionati, ma anche al fatto che spesso gli insegnanti si trovano a intraprendere tali percorsi senza il supporto di adeguati strumenti. Oggi, venendo meno per motivi anagrafici la figura del testimone e quindi di un medium concreto che identifichi quella storia con una persona, sarebbe utile possedere una narrativa adeguata che supporti i docenti nelle loro lezioni. Purtroppo pur avendo un’offerta bibliografica molto ampia, solo pochi libri sono utilizzabili in questo insegnamento.

Se si vuole fare memoria nelle classi dei più piccoli occorre selezionare, valutando attentamente quello che si può e si vuole raccontare, per tutelarli dall’orrore, ma già predisponendoli verso un corretto approccio alla materia.

Guardando le proposte editoriali sugli albi illustrati, possiamo vedere invece che molti ci parlano degli aspetti più tragici, come deportazione o campi, temi assolutamente troppo precoci da proporre ai più piccoli, oppure di storie eccezionali, come i Giusti tra le nazioni, spesso di altri paesi, che se non correttamente collocati, nel tempo e nello spazio, possono sembrare una normalità della storia, quando invece sono l’eccezione.

In tal senso, la narrativa per ragazzi può essere veramente un inedito strumento da utilizzare per l’insegnamento della storia. Dobbiamo pensare a nuove forme di trasmissione della memoria; la storia deve rimanere al centro della riflessione, ma allo stesso tempo dobbiamo ampliare i linguaggi di comunicazione, affinché i ragazzi possano godere di accessi diversificati, capaci di surrogare quell’effetto attrattivo che fornivano i testimoni.

Ancora troppo spesso molti adulti, insegnanti e genitori, sono titubanti a iniziare nella scuola primaria un percorso di educazione civica legato alla memoria; dobbiamo avere più coraggio e fiducia negli alunni che sono capacissimi di restituirci innumerevoli soddisfazioni in questo genere di percorsi.

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