Ci vorrebbe Smilla. Quella il cui “senso per la neve” è diventato una sorta di paradigma della letteratura scandinava: capacità di leggere i fiocchi, ascoltarne il suono mentre cadono, si posano e quando li si calpesta. Essere in grado di interpretarne le mutazioni. La protagonista del romanzo di Peter Hoeg forse riuscirebbe a consigliare protagoniste e protagonisti del Circo bianco, mai come quest’anno dai destini incrociati con il cambiamento climatico repentino e drammatico.

L’ultimo caso è quello di Sofia Goggia che ha inforcato una porta mentre si stava allenando in slalom gigante a Ponte di Legno. Risultato: frattura di tibia e malleolo tibiale, stagione finita, si spera solo questa. È solo l’ultima sciatrice ad aver subito un grave infortunio in una stagione che passerà alla storia non per le classifiche finali o per il duello soprannaturale nella velocità fra Odermatt e Sarrazin, ma per aver assunto le fattezze di uno splatter movie.

Gli altri ko

L’immagine simbolo della Coppa del mondo resterà quella di Alexander Aamodt Kilde, il norvegese già vincitore della classifica generale nel 2020. Sullo schuss finale di Wengen, distrutto dalla fatica, si è schiantato contro le reti di recinzione a una velocità tale da riportare alla mente Roland Collombin, lo svizzero che nei ’70 uscì di pista per due volte nello stesso punto della Oreiller-Killy a Val d’Isère, la pista su cui oggi gareggiano solo le donne perché considerata troppo facile per i maschietti. Picchiò contro i pini e riportò danni permanenti alla colonna vertebrale.

A Kilde è andata meglio perché si è solo lussato la spalla, ma si è anche tagliato il polpaccio destro e il suo sangue sgorgava sulla pista. Se l’intervento dei sanitari non fosse stato rapido avrebbe rischiato la vita.

Era la terza gara in una manciata di giorni dopo una discesa “accorciata” – il recupero di Beaver Creek, dove non si era potuto gareggiare per la bufera – e un super G. Già solo dover prendere atto che uno come Kilde sia arrivato al fondo di una discesa che dura due minuti e mezzo (la più lunga al mondo) senza l’energia necessaria per gestire la traiettoria è la prova di quale sia il peso delle sollecitazioni a cui gli agonisti sono sottoposti.

La foto in cui la compagna di Alex, la regina Mikaela Shiffrin, gli stava accanto in clinica con atteggiamento amorevole, pochi giorni dopo ha assunto un sapore sinistramente profetico.

L’americana si è schiantata sull’Olimpia delle Tofane, a Cortina, commettendo un errore per certi versi inspiegabile per una stella come lei, finendo rovinosamente contro le reti. La sorte è stata benevola, si è “solo” stirata il collaterale del ginocchio sinistro, tra una settimana potrebbe essere di nuovo in pista. Ma è andata assai meno bene ai legamenti delle sue concorrenti: Corinne Suter si è distrutto il crociato sempre a Cortina; Petra Vlhova si è frantumata sia il crociato sia il mediale nel gigante di casa sua a Jasna, in Slovacchia; Valerie Grenier ha un crociato malandato e una spalla lussata; Schwartz e Pinturault hanno sacrificato i loro crociati e i loro menischi uno a Bormio e l’altro sul Lauberhorn, pure lui. Senza dimenticare Elena Curtoni che si è rotta l’osso sacro a St Moritz. Non è un ordine di arrivo ma la lista di attesa di un pronto soccorso.

Le condizioni e il calendario

Si gareggia troppo, in modo arruffato perché il meteo è ingestibile. Si passa da condizioni di neve classicamente invernali come a dicembre a condizioni umide come quelle di Schladming, dove si va in pista di notte, fino alle condizioni para-estive di inizio febbraio, viste nel gigante femminile di San Vigilio di Marebbe e nello slalom maschile di Chamonix domenica scorsa. Quando ha vinto lo svizzero Daniel Yule, non esattamente Stenmark, stabilendo un record che potrà essere solo eguagliato: alla fine della prima manche era trentesimo, cioè l’ultimo a potersi qualificare per la seconda manche, quando il regolamento gli consente di partire per primo.

La pista era in condizioni ottimali, tutti quelli scesi dopo di lui si sono trovati ad affrontare una melma bianca infida e gobbuta, dove stare in piedi era già un risultato accettabile: a Chamonix c’erano più di dieci gradi. In tempi ormai lontani una simile variazione del manto nevoso avveniva da dicembre – quando a Val d’Isère si disputava quello che veniva chiamato le “criterium de la premiere neige – a marzo.

Oggi i cambiamenti avvengono in poche settimane. Gli atleti si affaticano, rischiano di più con materiali non calibrati alla perfezione, perché chissà qual è la perfezione quando prenderai il via su nevi assurde, per le quali magari non è stata effettuata adeguata preparazione. A Cervinia da due anni provano a organizzare delle libere transfrontaliere in autunno (partenza in Svizzera, arrivo in Italia) e da due anni annullano tutto: nel 2022 non c’era neve manco a quota ghiacciaio, quest’anno ce n’erano metri immersi nella nebbia. Forse nemmeno Smilla con il suo senso della neve riuscirebbe oggi a salvare lo sci così com’è. Idee cercasi.

© Riproduzione riservata