«Da quando siamo stati imbarcati sulla nave della quarantena, non ci hanno fatto capire nulla. Siamo abbandonati a noi stessi, non ho mai visto neanche un medico. Questi sono letti dove dormiamo da nove giorni senza alcun cambio delle coperte». È il grido di allarme lanciato da Keita, richiedente asilo proveniente dal Mali. Il nome è di fantasia ma la sua storia è vera. Si trova all’interno della nave adibita a quarantena per i migranti, la Rhapsody, ferma a Bari.

Il 9 ottobre ha affidato la testimonianza a un video, pubblicato dall’Arci e sul sito del Domani, in cui l’uomo, appena maggiorenne, dice: «La cosa più preoccupante è che portiamo la stessa mascherina da quando siamo arrivati a Palermo, da una settimana, nessun cambio». Racconta ancora Keita: «Da alcuni giorni dico di avere mal di testa, tuttora non mi hanno dato nulla per curarmi, c’è una carenza assoluta di assistenza sanitaria. Siamo frustrati e disperati. Non ci hanno mostrato neppure il certificato medico che attesta la nostra positività al Covid-19».

Portati via di notte

Qualche giorno prima l’uomo era stato prelevato all’una di notte con un pullman della Croce Rossa italiana dal centro di accoglienza straordinaria (Cas) di via della Mentuccia, a Roma, gestito dalla cooperativa Etabeta, e insieme a lui altri richiedenti asilo a cui era stato effettuato il test antigenico rapido a seguito della rilevazione di alcuni casi positivi all’interno della struttura.

Tutti trasferiti presso una “nave quarantena”, senza ricevere nessuna informazione sulla destinazione e le motivazioni del trasferimento. «Mi aveva informata di trovarsi sulla nave Rhapsody, ormeggiata al largo di Bari», conferma al Domani Flora Castelli, avvocata dell’Associazione per gli studi giuridici (Asgi) che da tempo segue Keita nell’iter per il riconoscimento della protezione internazionale. Castelli dice: «Il mio assistito ha subito trattamenti inumani e degradanti in Libia. Pertanto, trovarsi in mezzo al mare non è una condizione idonea ad un soggetto con tali vulnerabilità psichiche. Soprattutto su una nave dalle condizioni igieniche precarie dove viene negata, persino, una tachipirina richiesta per la cefalea».

Anche Lubumba (altro nome di fantasia) è assistito dell’avvocata Castelli. Il 14 ottobre insieme alla legale, avrebbe dovuto presentarsi davanti al tribunale di Roma per un ricorso pendente. Avrebbe dovuto dimostrare di aver subito tre anni di prigionia in Libia, di trattamenti inumani e degradanti, per vedere accolta la propria domanda di protezione internazionale, dopo il diniego ricevuto dalla commissione prefettizia. Ma Lubumba non potrà esserci, «perché mi ha informato di trovarsi attualmente sulla nave Gnv Allegra ormeggiata al largo di Palermo», ha riferito la legale.

Pure per lui stesso iter subito da Keita: prelevato la notte dell’1 ottobre dal centro di accoglienza di Via della Mentuccia, a seguito della positività riscontrata al test antigenico rapido. Stessa sorte, ma diverso centro di accoglienza straordinario, il Porrino, gestito dalla cooperativa Medihospes (società costola del gruppo La Cascina già invischiata nell’inchiesta Mafia Capitale).

È lo stesso in cui era si trovava Boubakar fino alla notte del 9 ottobre scorso da quando, insieme ad altri dieci richiedenti asilo risultati positivi, «senza aver ricevuto alcuna informazione circa la destinazione e le motivazioni del trasferimento», nonostante fosse in lista per subire un’operazione chirurgica, si trova al largo sulla nave Gnv Allegra ormeggiata al largo di Palermo.

Senza nessuna informazione

«Gli ospiti della nave Allegra riferiscono che non sono rispettate le norme sul distanziamento fisico e di trovarsi attualmente insieme ad altri ospiti provenienti dagli ultimi sbarchi, anche donne incinta che non sono in buone condizioni di salute», denuncia l’avvocata Castelli.

Un’altra legale dell’Asgi, Valentina Tortorella, che segue altri richiedenti asilo trasferiti dai centri di accoglienza romani alle navi quarantena, invece, spiega al Domani di essere in attesa di ricevere dalla Prefettura di Roma una risposta in merito all’accesso agli atti, inoltrato giorni fa, per conoscere il decreto con cui è stato disposto il trasferimento del suo assistito «nonché di ogni altro atto conosciuto o non conosciuto dall’interessato con cui le Autorità preposte hanno deciso di attuare tale procedura».

Esiste una base normativa? Una circolare o altro atto ministeriale, che preveda questi trasferimenti? Perché è stata scelta questa soluzione invece di isolare le persone in appositi centri Covid come risulta sia stato fatto, durante il lockdown, per i migranti risultati positivi negli hotspot siciliani? Alle nostre domande il Viminale non ha ancora risposto.

Sami Aidoudi, mediatore culturale di origine tunisina impegnato nel progetto di assistenza socio-legale “In Limine”: «Abbiamo riscontrato un cambiamento nelle procedure», dice. «Fino a luglio scorso, le persone che erano ospitate all’interno del centro di Lampedusa, rimanevano cinque giorni, al massimo, prima di essere trasferiti in appositi centri covid, in Sicilia, o in altre parti d’Italia». Poi aggiunge: «Le condizioni di vita nell’hotspot sono peggiorate, abbiamo visto minori che hanno trascorso le notti su un materasso, dormendo a terra senza lenzuola». Poi sono state istituzionalizzate le navi quarantena. Conclude Aidoudi: « Ho raccolto diverse storie di persone che hanno ricevuto una mascherina ogni 3 giorni sulla nave Allegra. E di una donna che ha partorito poco dopo la fine della quarantena sulla nave Mobi Zaza e che ancora qualche giorno fa non era stata visitata da un ginecologo, né il nascituro da un pediatra».

Il Covid-19 è una scusa

«Il Covid-19 sta diventando la scusa più efficace per negare soccorso e accoglienza o per trattenere migranti e rifugiati in condizioni inadeguate», chiosa Claudia Lodesani, medico infettivologo e presidente di Medici Senza Frontiere. Il meccanismo delle navi quarantena, secondo Lodesani «risponde più alle paure indotte degli italiani che ai criteri di una gestione sicura, ragionevole e umana, dell’epidemia e più in generale dei flussi migratori». Per questo, la presidente di Msf dice: «Con i numeri delle persone in accoglienza al picco minimo negli ultimi cinque anni, potremmo permetterci una risposta ordinata e dignitosa in strutture dislocate sulla terraferma, senza trattamenti discriminatori e stigmatizzanti». Perché, conclude, «gestire centinaia di persone in un grande luogo chiuso dove vengono isolati sia casi positivi che persone in quarantena precauzionale non è un modello né auspicabile né efficace».

Costi umani ed economici

C’è il nodo dei costi delle navi quarantena. In un primo momento, il Decreto del 12 aprile firmato dal capo dipartimento della protezione civile, Angelo Borrelli, aveva previsto che con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro) di sbarco, il soggetto attuatore (il dipartimento affari civili e immigrazione del ministero degli Interni) «nel rispetto dei protocolli condivisi con il ministero della Salute, può utilizzare navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria». Dunque, una possibilità, una estrema ratio, prevista soltanto per i migranti appena sbarcati e soccorsi dalle navi della Ong o della Guardia Costiera.

Ora, invece, la disposizione sulle navi quarantena è stata estesa a tutti gli altri migranti provenienti dai centri di accoglienza straordinaria (Cas). Le navi delle compagnie private attualmente utilizzate sono cinque: Aurelia, Gnv Allegra, Gnv Azzurra, Rhapsody e Snav Adriatico. A queste si sommano le navi Rubattino e Moby Zazà della Compagnia italiana di navigazione.

La Rubattino è stata attiva fino al 7 maggio, mentre la Moby Zaza fino alla metà di luglio. Da allora, gli avvisi sul sito della protezione civile e del ministero delle Infrastrutture per la «presentazione di manifestazioni di interesse per il servizio di noleggio unità navali funzionali all’assistenza e sorveglianza sanitaria dei migranti», si sono moltiplicati.Un bando alla settimana, praticamente. L’ultimo avviso pubblico risale allo scorso 10 settembre. Per un importo stimato complessivo che supera i 10 milioni di euro. Le graduatorie di assegnazione, però, non sono pubbliche.

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