Alle 8 del mattino, con un dritto lungolinea, il tennis italiano ha piantato un’altra bandierina su una vetta. Tre anni dopo Matteo Berrettini sull'erba di Wimbledon, sta per arrivare di nuovo una finale dello Slam, la prima all’Australian Open. Stavolta tocca giocarla a Jannik Sinner, davanti alla prima occasione per un grande titolo in carriera: domenica mattina a Melbourne. Aveva un ostacolo alto così davanti e l'ha passato, Novak Djokovic, il numero uno del mondo battuto 6-1, 6-2, 6-7, 6-3: la stessa barriera scavalcata a novembre per colmare un altro vuoto storico e andare a vincere la Coppa Davis.

Chi ha messo la sveglia un'oretta dopo l'inizio della partita, immaginando che sarebbe stata lunga, ha scoperto invece alzandosi dal letto che in 70 minuti di dritti e rovesci, di andare e venire, Sinner era già avanti di due set. Non solo. Aveva concesso appena tre game all'uomo con più Slam di tutti nella storia. A quel punto è cominciata la caccia alle statistiche, per avere un conforto o per stropicciarsi meglio gli occhi ancora gonfi.

È stata la 37esima volta in carriera che Djokovic ha lasciato i primi due set in una partita al meglio dei cinque, in otto occasioni era riuscito a ribaltare la situazione. Mai a Melbourne. Ben Rothenberg, firma del magazine Racquet, su X stava appunto scrivendo che "Djokovic è un maestro assoluto al meglio dei cinque, la chiave per il suo dominio nello Slam. Sa esattamente quanta energia gli rimane in ogni momento. Fino a quando Sinner non si prenderà una pausa, non credo che Djokovic si lascerà prendere dal panico".

Eppure non si trattava di panico, ma di sopraffazione tecnica. Djokovic ha sbagliato 14 rovesci non forzati nei primi 14 game, con 27 errori gratuiti complessivi. In semifinale gli era successo di perdere i primi due set per sei volte e solo in un caso ne era uscito in piedi, agli US Open del 2011, un’era fa, contro Roger Federer. Solo due volte gli era accaduto di mettere insieme appena tre game nei primi due set di uno Slam, a Melbourne nel 2005 contro il Russo Marat Safin e a Parigi nel 2020 contro Rafa Nadal. In Australia non perdeva i primi due set dalla sua ultima sconfitta su questi campi: sei anni fa.

A leggere e rileggere questi dati tutti insieme, pareva che fossero sia dei segni positivi sia indizi della assoluta incapacità di Djokovic di arrendersi. Neppure quando si è afferrato con le mani la regione addominale durante un cambio di campo, era possibile darlo per spacciato. L’anno scorso si è vantato di aver vinto il titolo con uno strappo di alcuni centimetri alla gamba, auto-alimentando il fuoco della sua leggenda di immortale, dipingendosi come un Kaiser Söze.

Il tennis italiano lo sa bene. Djokovic in passato era risalito da due set a zero contro Sinner a Wimbledon e contro Musetti a Parigi. Ha ritrovato fiducia nel dritto. Nel caldo rovente del pomeriggio di Melbourne, ormai le sette del mattino da noi, si è giovato di una sosta al fresco sul 5-5 40-40. È risalito da una buca che pareva fatale al tie-break, un match-point avuto da Sinner sul 6-5 dopo aver rimontato da 2-4. Ha mostrato il pugno alla folla che lo incitava per vedere altra partita e in quel pugno teneva serrato tutto lo spavento.

Alla terza ora di gioco, al quarto set, la partita è diventata pure uno scambio di sguardi feroci. Djokovic ha messo due volte la mano davanti alla bocca per gridare qualcosa nella sua lingua verso il box al coach Goran Ivanisevic. Aveva gli occhi di brace e l’umore nero. Sinner gli aveva appena fatto il break rimontando da 0-40 e sfruttando il suo quarto doppio fallo. Jannik non ha ceduto. Il braccio ha tremato per la prima volta (un doppio fallo) solo nel game in cui andava a servire per il match, quando si sarebbe emozionato pure il più imperturbabile dei campioni. 

I precedenti

Era un anno olimpico quando Adriano Panatta volò a Parigi per prendersi il titolo al Roland-Garros. Mancavano un mese e tre giorni ai Giochi di Montréal del 1976. Rischiò di uscire al primo turno contro il semisconosciuto Hutka, annullò un match point, vinse la finale in quattro set contro l’americano Solomon. All’epoca l’Italia aspettava uno Slam da sedici anni, l’ultimo era stato di Nicola Pietrangeli sempre a Parigi nel 1960 - anno olimpico pure quello.

L’attesa è arrivata a 48 anni. Pure Matteo Berrettini giocò la sua partita per il titolo a Wimbledon in un’estate con i Giochi, quelle erano Olimpiadi fuori programma, slittate dal 2020 al 2021 per la pandemia. A sei mesi da Parigi, il vento dei cinque cerchi soffia ora alle spalle di Sinner. Avrà per avversario il russo Daniil Medvedev. L’Australia è quel posto dove l’Italia ha perso tre finali di Coppa Davis su tre. Ma cosa c’entra. Non c’era mica Sinner.

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