Pete Sampras, re di quattordici Slam adombrati dalla successiva generazione di fenomeni, si pentì fuori tempo massimo: antipersonaggio quale era, disse bene quando spiegò che «ho preferito far parlare la mia racchetta, ed era tutto quello che volevo fare. Scendere in campo e vincere partite». Forse ne avrebbe pure vinta qualcuna in più, soprattutto nelle ultime stagioni, se non avesse continuato a usare il suo antico “ferro”, la Wilson Pro Staff Original. Una racchetta leggendaria, che somiglia a una mazza in grafite e kevlar. Con un piatto corde così piccolo, per gli standard odierni, da sembrare un retino per farfalle: 85 pollici.

Tradotto a favore dei non appassionati, una racchetta difficile da maneggiare, cui Sampras aggiungeva ulteriormente strisce in piombo e che, sulla bilancia, denunciava 385 grammi. Con un attrezzo simile, stabile e forzuto, si ha un controllo del colpo ideale. Solo che o la si colpisce perfettamente al centro, e la si sostiene con un avambraccio da muratore per trasferire tutto quel peso sulla palla, oppure è meglio lasciar perdere. Senza mai rinnegarsi, Pete ha ammesso, negli ultimi anni in cui si è convinto a roteare un telaio più leggero e con ovale più ampio nel corso delle esibizioni, che forse avrebbe potuto sperimentare da atleta qualche alternativa, perlomeno quando i segni del tempo iniziavano ad appannare coordinazione e guizzi.

Roger Federer, pure lui discepolo di quella racchetta iconica, scelse poi un’altra strada facendosi costruire, per le ultime cavalcate vincenti, una versione del marchio della W con un ovale più ampio, capace di perdonare colpi non perfettamente centrati e di aiutare nella spinta: ne ricavò un servizio ancora migliore e un rovescio più affilato, alleati preziosi nel vincere la sua sindrome cronica di Nadal.

Più leggera e maneggevole

La racchetta è il migliore amico del tennista e ciascun professionista ha la sua ricetta per renderla compagna unica e irripetibile. Novak Djokovic è affezionato al marchio Head dal 2009 e la sua stessa Durlindana è in mano al wonder boy italico Jannik Sinner, impegnato nello Slam australiano dove ha già vinto la prima partita battendo 3-0 Van de Zandschulp. Inutile girarci intorno: quarta testa di serie, il giocatore più caldo e dinamitardo del fine stagione con la cavalcata a Torino e il successo in Coppa Davis a Malaga, le sue prestazioni hanno infuocato l’entusiasmo intorno al tennis in Italia e riportato l’argomento ai fasti del ’76, anno dell’ultimo Slam maschile, vinto da Adriano Panatta a Parigi. Nei negozi è tornata un’antica moda: i ragazzi entrano e chiedono «la racchetta di Sinner». Per fortuna, ne esistono varie versioni, anche più leggere e malleabili dai non professionisti.

In verità, la racchetta di Sinner sembra uguale a quella del fuoriclasse serbo, sembra ma non lo è. Anzitutto, Jannik ha deciso, proprio per l’avvio della stagione 2024, di aggiornare il modello, da atleta particolarmente attento agli aspetti tecnici del suo mestiere. Ne ha scelta, già dal modello precedente, una versione senza lo schema di incordatura di Nole (un 18 corde verticali e 20 orizzontali) preferendo ancora il 16-19. Avere meno corde, lo spiega la fisica, significa due cose: la palla, all’impatto col reticolo, troverà meno resistenza e più elasticità e quindi potrà ripartire più veloce, con una sorta di effetto-fionda; dopodiché, anche i tagli (topspin, backspin) saranno più efficaci, proprio perché la palla sarà più “avvolta” dalla corda.

Esistono, giocoforza, degli svantaggi. Un “pezzo” simile rende più complicato controllare la palla ma Sinner, a differenza di quasi tutta la concorrenza, per compensare ha scelto una soluzione ardita: la sua tensione delle corde (28 kg) è molto superiore a quella adottata in media, che è sui 25 kg anche per un forzuto come Rafa Nadal; in più, mentre Djokovic e molti altri tennisti di vertice usano una incordatura ibrida, vale a dire un misto di corde sintetiche e corde in budello naturale (più “tenere” e sensibili, utili per aumentare l’elasticità dell’impatto) Sinner si affida esclusivamente al cosiddetto monofilo, una corda sintetica dura e tosta.

È controintuitivo per i profani ma una incordatura più tesa fa tirare più piano, e non più forte, proprio perché ha minore effetto elastico; con quella corda, diventa ancora più complicato spingere. Nel caso di Jannik, tuttavia, non c’è problema: l’accelerazione arriva tutta dal suo braccio, capace di esprimere velocità da Superman, ben testimoniate dallo schiocco che esce dalle sue bordate, protagoniste di una marea di clip rimbalzati sui telefoni e i computer di tutto il mondo.

Una questione di impatto e vibrazioni

Gli esperti e i cultori dell’argomento – come Enzo Anderloni, giornalista specializzato da una vita e appassionato di materiali – hanno già radiografato le caratteristiche della nuova “amica” del campione italiano, che è quella prodotta di serie con gli accorgimenti già studiati per le vecchie dotazioni: modello Speed MP, peso di 10 grammi inferiore al precedente, piatto corde da 100 pollici e, se adottato anche quest’anno, un po’ di peso aggiuntivo nel cuore, per modificare l’inerzia (il peso in movimento, detto malamente).

Infine, dei pezzettini di tessuto - esotericamente definiti «integratori sensoriali» - che vengono piazzati tra foro in plastica e corda nel punto in cui le corde verticali passano nel loro anello e invertono verso per tornare nel piatto. Già Federer e, prima di lui, generazioni di tennisti armati di racchetta di legno, usavano una soluzione simile, ancorché in cuoio e senza necessarie implicazioni spirituali, per modificare la sensazione dell’impatto, attenuando le vibrazioni e proteggendo il tratto di corda piegato a “u”.

Quale torneo lo aspetta

Ma non di sola ingegneria vive l’uomo. Sinner è risoluto a sferrare l’attacco al suo primo grande titolo, con le ambizioni del danseur étoile. Il sorteggio gli ha regalato il monarca d’Australia, Novak Djokovic, nella stessa metà di tabellone. Dieci volte campione nell’Happy Slam, Nole è il possibile (probabile? Scontato?) avversario in semifinale, per raggiungere la quale Sinner avrà bisogno di superare alcune prove dure, come lo è il cemento aussie ribollito dal sole, ma fattibili.

Battuto in tre set l’olandese Van de Zandschulp all’esordio, per quanto possa essere affidabile un pronostico a lungo raggio, ci dovrebbero essere Tiafoe negli ottavi, Rublev (o De Minaur, sperabilmente) nei quarti. Per un pensiero alla finale, nell’altra metà del tabellone si daranno battaglia Medvedev, plurifinalista a Melbourne, Alcaraz e, in seconda fila, Rune e Zverev.

Quando un campione non è più costretto a fare di conto e ragionare di possibilità o sorteggi per calcolare le proprie possibilità di vittoria, vuol dire che ha acquisito la lettera maiuscola. Sarebbe da curvaioli non riconoscere che la lunga distanza degli Slam dà ancora un vantaggio, almeno in potenza, a colui che he ha sbranati 24 (Djokovic) e che sul cemento, americano o australiano che sia, sa opporre una muraglia letale (Medvedev). E che il miglior Alcaraz, se non si fa prendere dalle manie di over-gioco che lo mandano talora in confusione, ha colpi e fisico per cucinarseli, ahinoi, tutti quanti.

Ma il nome di Jannik Sinner incute una fifa nera a ciascuno dei suoi rivali, vecchi, adulti o newcomer che siano. Quasi quanto il botto dei ceffoni che fionda dal suo mattarello nuovo di zecca.

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