L’acqua è un bene pubblico, ma non costa ovunque uguale lungo la penisola e soprattutto non ovunque c’è la certezza che sia potabile anche quando dovrebbe. Queste e altre criticità sono state riscontrate dall’Autorità anticorruzione, che ha concluso un procedimento di vigilanza sui contratti pubblici di appalto per il rifornimento idrico a mezzo di navi cisterna nelle isole minori della Sicilia.

Il servizio di approvvigionamento per le isole Eolie, Pantelleria, le Egadi, le Pelagie e Ustica è garantito per legge dal ministero della Difesa, che però affida il servizio a privati perché non ha navi cisterna adatte a svolgere autonomamente il trasporto.

L’indagine ha fatto emergere come si tratti di fatto in un regime di monopolio gestito da due società armatrici, che operano con scarsissimi controlli a causa di un cortocircuito nell’interpretazione delle leggi che disciplinano il servizio. Con il risultato che non è chiaro quanta parte dell’acqua potabile trasportata finisca sversata in mare e se l’acqua sia realmente potabile. Il tutto a prezzi comunque non competitivi, visto che le tariffe e il fabbisogno previsti da contratto non sono mai stati aggiornati negli ultimi vent’anni.

Le anomalie

I controlli di Anac sono partiti dall’analisi delle procedure di affidamento. Secondo le previsioni normative, il compito spetta alla direzione generale Commiservizi del ministero della Difesa, che però affida il servizio all’esterno perché il trasporto può essere svolto solo da navi autorizzate al trasporto di acqua potabile e la marina non ne dispone nella sua flotta.

Il mercato è così ristretto a causa delle autorizzazioni necessarie, che in Italia esistono solo due operatori economici a poter partecipare alla procedura e questo fa sì che possa venire adottata la procedura negoziata per l’affidamento. Le società sono la Marnavi e la Vetor, che si sono unite in un raggruppamento temporaneo, la Vemar srl, che però non possiede navi proprie. Il risultato è che l’appalto, affidato con procedura negoziata, è stato sempre vinto dalla Vemar, che opera con un totale di 15 navi (6 della Marnavi e 9 della Vetor) e che opera anche verso le isole della Puglia e del Lazio.

Si tratta di un regime di monopolio a causa della peculiarità dei requisiti richiesti e mai aggiornati negli ultimi vent’anni. Questo ha prodotto un sistema bloccato in favore di un’unica società, che vince costantemente l’appalto e che non ha alcun incentivo a offrire ribassi di prezzo o incrementi nella qualità del servizio. Tanto che Anac ha segnalato al ministero l’opportunità di valutare «l’adozione di misure che semplifichino l’accesso di altri operatori, o per diffondere la conoscenza di questo settore di mercato da parte di ulteriori operatori, anche non italiani».

Un’altra anomalia riscontrata da Anac è che nemmeno i valori del contratto di appalto sono mai stati aggiornati in vent’anni. In particolare, il quantitativo di acqua trasportato non è mai diminuito, nonostante nel corso degli anni le isolette siciliane siano state fornite di impianti d’acqua potabile, condotte sottomarine e impianti di dissalazione.

Il costo dell’acqua

Queste strutture avrebbero dovuto far diminuire il fabbisogno dell’approvvigionamento via nave, ovviamente più costoso, oltre che meno efficiente. Invece, se nel 2002 la regione Sicilia indicava un fabbisogno di 1.750.000 metri cubi l’anno, nel 2021 il fabbisogno rimaneva di 1.717.990 metri cubi.

Questo trasporto via mare, inoltre, incide in maniera pesante sul costo dell’acqua potabile. L’importo del contratto di appalto è di poco più di 20 milioni di euro l’anno, che implica un prezzo di 11,67 euro al metro cubo, cui aggiungere l’Iva.

Il costo è diverso da regione a regione ma, per avere un parametro del valore corrente del mercato dell’acqua, nella penisola l’acqua potabile costa circa 1,86 euro al metro cubo fino a 30 metri cubi a utenza, a cui vanno aggiunti alcuni costi fissi. Nelle altre isole minori, in cui il servizio viene aggiudicato con procedura aperta, invece il prezzo è simile: 9,99 euro per la regione Puglia e di 11,98 euro per il Lazio.

(Foto LaPresse - Carmelo Imbesi)

I mancati controlli

Tra i tanti problemi del contratto c’è il fatto che non è chiaro a chi spetti controllare sulla correttezza dell’esecuzione del servizio. Il cortocircuito è generato da una lettura opposta delle norme da parte del ministero e della regione Sicilia. Secondo quanto riscontrato da Anac, il ministero della Difesa ritiene di dover solo «garantire il servizio di approvvigionamento, la cui gestione spetterebbe alla regione Sicilia».

La regione, invece, «ha ribadito la competenza statale in materia e chiarito che il proprio compito è quello di coordinare e approvvigionare», ma ha precisato ad Anac che «tale coordinamento non include il controllo dell’esatta esecuzione della fornitura idrica a mezzo navi cisterna, che rimane in capo al committente», che è il ministero della Difesa.

Risultato: non è mai stato nominato un direttore dell’esecuzione, anche se la legge lo prevederebbe. Questo fa sì che nessuno verifichi che i contratti vengano rispettati. Infatti, come si legge in delibera, «sono emerse importanti problematiche di non corretta esecuzione o controllo dell’acqua immessa nella rete idrica locale, anche di rilievo penale». L’acqua trasportata, quindi, oltre che sprecata e sversata in mare durante il trasporto potrebbe non essere nemmeno potabile.

Per questo l’Autorità anticorruzione ha inviato gli atti della vigilanza effettuata non solo al ministero della Difesa, alla Marina militare e alla regione Sicilia, ma anche al ministero della Salute, alla Corte dei conti, all’Agcm e al parlamento.

Ora la parola passa a Difesa, Marina militare e regione Sicilia, che comunicheranno ad Anac quali misure intendono prendere per risolvere le criticità evidenziate dall’Anticorruzione e migliorare il servizio. Per farlo, avranno tempo fino a metà dicembre, fermo restando però che dai controlli potrebbero emergere procedimenti penali e della Corte dei conti, per valutare un eventuale danno erariale.

 

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