“Basta precariato. Reclutamento straordinario subito”, recita uno striscione appeso in una delle sale d’ingresso della sede centrale di Roma del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il più grande ente di ricerca pubblico che abbiamo in Italia. Quel messaggio è alla vista di tutti, e non da settimane, ma da mesi, perché il precariato che connota i contratti dei lavoratori e delle lavoratrici degli enti pubblici di ricerca non è un fatto troppo recente.

In autunno è stata presentata la nuova legge di Bilancio e non sono previsti investimenti sostanziali per i settori della scuola, dell’università e della ricerca. Secondo l’analisi condotta da FLC CGIL «il sistema della conoscenza viene inserito nel quadro generale delle riduzioni di spesa, attraverso un intervento che taglia immediatamente le risorse correnti e rinvia al triennio 2029-2031 gli investimenti strutturali oggi necessari».

Per questa ragione, FCL CGIL e alcuni dei più importanti enti di ricerca si sono uniti in una nuova giornata di mobilitazione nazionale, che si è tenuta l’11 novembre a Roma. Hanno partecipato i precari e le precarie del CNR, degli Istituti di Fisica Nucleare (INFN), dell’Istituti di Astrofisica (INAF), del Consiglio Per La Ricerca In Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria (CREA) e della Stazione Zoologica Anton Dohrn.

In oltre quattrocento sono venuti da tutte le regioni italiane per portare, ancora una volta, in piazza, all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica le loro richieste. Due, principalmente: che vengano varate politiche strutturali per rilanciare la ricerca pubblica e soprattutto che la legge di Bilancio venga rivista in direzione di uno stanziamento di fondi che siano vincolati in via esclusiva alle stabilizzazioni del personale precario.

STABILIZZAZIONI 

Le procedure di stabilizzazione del personale degli enti di ricerca pubblici sono normate dall’articolo 20 della Legge Madia (d.lgs. n. 75 del 2017), che è nata proprio con l’intento di superare il precariato e ridurre il ricorso ai contratti a termine. Ma la legge prevede che tali procedure avvengano entro il dicembre 2026.

Secondo le stime del CNR, all’interno dell’ente lavorano tra gli otto e i novemila ricercatori in totale, quattromila sono precari e, di questi, mille hanno con un contratto a tempo determinato, a cui si aggiungono gli assegni e le borse di ricerca, di cui non si hanno numeri esatti. Nella scorsa legge di Bilancio, il governo ha stanziato nove milioni e mezzo di euro per l’anno in corso (poi 12,5 milioni per il 2026 e 10,5 milioni dal 2027) da destinare alle procedure di stabilizzazione del personale dell’ente. Dopo un silenzio di quasi un anno, solo nell’ottobre scorso c’è stato un effettivo sblocco dei fondi e un avvio parziale delle procedure.

Parziale perché la procedura di stabilizzazione diretta presentata dall’ente, in seguito ai due tavoli tecnici tra la presidenza e le sigle sindacali, ha riguardato solo una parte di tutto il personale precario, cioè chi possiede i requisiti previsti dal comma 1 dell’art. 20 della legge Madia. I fondi non saranno comunque sufficienti e si stima che si potrà stabilizzare poco meno di duecento persone. E inoltre, restano fuori i cosiddetti “comma 2”, per i quali saranno necessari nuovi fondi e nuove procedure concorsuali, su cui però, a oggi, non si ha ancora nessuna direttiva.

Non c’è nessuna procedura, parziale o meno, in vista, invece, per i precari degli INFN e degli altri enti di ricerca, sebbene anche i loro ricercatori e ricercatrici vivano le medesime situazioni contrattuali. Agli INFN, ad esempio, si contano duemila e cento persone con contratti indeterminati, mentre i precari si aggirano sugli ottocento. «Agli INFN non si è fatto nulla di ciò che è stato fatto al CNR: non ci sono tavoli tecnici, forse solo una ricognizione interna, ma a noi precari non è arrivata nessuna comunicazione», spiegano i ricercatori a Domani.

LE VOCI DA ROMA

Riunitisi intorno alle 10 in Piazza Capranica, i manifestanti si sono poi spostati verso Montecitorio.

«Senza avere il coraggio di fare una riforma dell’università, così come della scuola, lo stanno facendo un pezzettino alla volta: con l’eliminazione dell’abilitazione nazionale, con la riforma dell’ANVUR, con le bozze tremende che circolano sulla governance dell’università. Si sta seguendo una strada ben precisa, che abbiamo visto già altrove». È la denuncia del deputato Antonio Caso (M5S), intervenuto alla manifestazione, sulle azioni che il governo ha introdotto nell’ultimo anno ai danni di scuole e università.

Insieme a lui, nel corso della mattinata, sono intervenuti anche altri esponenti politici, tra cui Francesco Verducci (Pd), Luca Pastorino (Pd) ed Elisabetta Piccolotti (Alleanza Verdi e Sinistra). «Siamo esterrefatti da questa finanziaria. Qua dentro tutti sapevano che all’uscita dal Pnrr sarebbe servito un intervento straordinario. È un segno di grande e profonda irresponsabilità e anche di umiliazione», ha detto Piccolotti.

«Questa finanziaria ha messo zero per la ricerca e zero spaccato per una possibile stabilizzazione dei precari. Stiamo chiedendo con forza al governo che nella legge di Bilancio dia un segnale di attenzione verso questo settore». A Domani Rosa Ruscitti, FLC CGIL, spiega così i motivi della manifestazione. «La ricerca dovrebbe essere per un paese intelligente e lungimirante l’argomento più attenzionato. Ma il nostro governo, come sappiamo bene, ha predisposto le risorse per il riarmo, ma ha messo zero risorse in tutti gli altri settori».

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