Sono centinaia i supplenti brevi senza stipendio da ottobre. Una situazione che si ripete ogni anno e ha a che vedere con l’algoritmo che assegna le cattedre e con il disallineamento dei ministeri. Un sistema che andrebbe corretto, le cui storture ricadono sulle spalle dei precari
«A me si è rotta l’auto. Come l’aggiusto visto che sono senza stipendio da ottobre? E come pago i 2.000 euro che servono per accedere ai nuovi corsi abilitanti obbligatori per insegnare?». A parlare è Alice Diacono, una docente precaria di storia e italiano alle superiori che insegna in un istituto professionale a circa un’ora da casa sua, Bologna. «A settembre mi hanno convocato per una supplenza breve. Ho accettato perché non avevo alternative». Diacono spiega di essere stata “saltata dall’algoritmo”. Quel sistema automatizzato che, selezionando gli insegnati dalle graduatorie provinciali (Gps), li assegna alle scuole in cui c’è disponibilità: «Funziona come Tinder. Combina le preferenze che noi precari siamo chiamati a esprimere con i posti vacanti nelle scuole. Il problema è che nel momento in cui vengono fatte le prime nomine, tra fine agosto e inizio settembre – quelle in cui chi ha il punteggio in graduatoria più alto solitamente viene preso in considerazione – le scuole non hanno ancora una visione chiara degli insegnanti di cui avranno bisogno».
Così il rischio di essere “saltati” è alto. E dato che l’algoritmo non torna indietro, ma ad ogni turno di nomina ricomincia la selezione dal punto della graduatoria in cui si era fermato, il risultato è che chi ha un punteggio più basso viene chiamato in ritardo, ma ha più possibilità di ottenere incarichi duraturi. Visto che, a anno scolastico iniziato, le scuole riescono ad avere una visione più chiara dell’organico a disposizione e di quello di cui avranno effettiva necessità.
«A chi ha un punteggio più alto, invece, succede di essere saltato. Ecco perché ho accettato la supplenza di dieci giorni. Solo dopo aver iniziato, ho saputo che la persona che stavo sostituendo ha un problema per cui non riesce a rientrare a scuola in tempi brevi. Così sto ancora lavorando nello stesso istituto. Ma con un contratto che si rinnova di mese in mese. E senza ricevere lo stipendio. L’ultimo, quello di ottobre, l’ho preso a dicembre, poi più nulla».
Diacono non è l’unica in questa situazione. Sebbene non esistano stime precise, si parla di centinaia o addirittura migliaia di persone nella stessa condizione. A testimoniarlo solo le innumerevoli denunce dei precari, i supplenti brevi nello specifico, cioè quelli che non lavorano con un incarico annuale ma per un periodo di tempo determinato, facilmente reperibili ovunque, giornali, chat di Whatsapp, gruppi e pagine dedicate sui social.
«Basta. Sto seriamente pensando di non andare al lavoro fin quando non verrò pagato», scrive, ad esempio, un docente su Facebook, «no, non farlo altrimenti ti ritarda ancora di più», risponde un’altra. Come se percepire lo stipendio per il lavoro svolto non fosse un diritto. Ma un’arma di ricatto da utilizzare per evitare le proteste.
«Una vergogna che ogni giorno rende più chiara la considerazione che questo sistema ha per chi lavora nella scuola: zero. Non si tratta di un semplice ritardo, ma di un disprezzo sistemico verso chi garantisce un diritto fondamentale come quello all’istruzione. Dietro ogni cattedra c’è una persona, una famiglia, una vita che dipende da quello stipendio negato», fanno sapere dal collettivo “Dignità al merito”, gli insegnanti che pur avendo superato le prove dei concorsi-scuola Pnrr per il reclutamento del personale docente non hanno ottenuto né cattedra né una graduatoria a scorrimento da cui essere convocati.
Così continuano a essere parte di quei 242 mila precari, tra insegnanti, educatori e Ata, secondo le stime di Cgil, su cui anche quest’anno si regge la scuola.
Ogni anno tra ottobre e febbraio
«È il secondo anno consecutivo che Valditara si può intestare il più alto numero di precari nella storia del nostro paese», ha chiarito, infatti, la segretaria generale Flc Cgil Gianna Fracassi, durante la presentazione, lo scorso 21 gennaio, del rapporto “Salario, precariato, controriforme: lo stato dell'arte nei settori pubblici di scuola, università ricerca e Afam”. Da cui non solo si capisce che le dichiarazioni sui precari del ministro dell’Istruzione non descriverebbero la realtà. Ma anche che gli incrementi ai salari degli insegnanti previsti dal governo sono di 11 punti inferiori rispetto all’aumento del costo della vita per l’inflazione. Così gli stipendi dei docenti italiani, di ogni grado, continuano a essere tra i più bassi d’Europa.
Quando i soldi arrivano. Visto che la situazione dei supplenti brevi che devono sopravvivere per mesi senza ricevere lo stipendio non è un’eccezione. Ma la normalità: si verifica, da anni, ogni volta tra ottobre e febbraio. A quanto si capisce, a causa di un problema tra ministero dell’Istruzione e del Merito e quello dell’Economia e delle Finanze, per cui i fondi messi a disposizione per coprire gli stipendi dei precari sono meno di quelli che effettivamente servono, proprio per il fatto che le scuole a inizio anno scolastico non hanno chiaro l’effettivo organico di cui avranno bisogno.
Così, sembra che per essere pagati i professori debbano aspettare che arrivino i nuovi fondi e che si completino le procedure burocratiche necessarie alla loro erogazione. Ma senza smettere, nel frattempo, di lavorare e spendere per abilitazioni, corsi, concorsi e aggiornamenti, per non perdere il posto conquistato in graduatoria.
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