Circa un docente su 4 in Italia è precario. Studi internazionali dimostrano che questa condizione ha un impatto negativo sul benessere psicologico. Lo stress degli insegnanti è legato anche al «sovraccarico burocratico» e alle «limitate opportunità di avanzamento di carriera»
«La fatica di cambiare ambiente lavorativo la conosciamo e l’abbiamo vissuta più o meno tutti, soprattutto a causa del generale precariato del mondo del lavoro. Ma ho fatto una stima: in media si potrà cambiare lavoro tre, quattro, cinque, sei volte in una vita intera. Per me è già la decima volta in dieci anni. Ed è psicologicamente molto faticoso». Questa è la storia di Stefano (nome di fantasia), docente precario, dieci anni di esperienza e due concorsi superati, quello straordinario nel 2020 prima e il Pnrr1 dopo, eppure non gli è bastato: ogni anno Stefano cambia classi e istituti.
«Da quattro, cinque anni ormai, penso di mollare tutto, e lo dico da persona che questo mestiere vuole farlo e che non ha mai pensato all’insegnamento come ripiego. Ma se sono arrivato al punto di voler lasciare, vuol dire che qualcosa non funziona».
Qualcosa che non funziona, come dice Stefano, c’è. Secondo le ultime stime disponibili che risalgono al 2023, su 943.681 insegnanti, 234.576 hanno un contratto a tempo determinato: in sostanza, all’incirca un docente su quattro in Italia è precario.
Problemi di salute
L’impatto che la precarietà lavorativa ha sulla salute mentale è studiato da tempo. Una revisione sistematica sul rapporto tra precariato e benessere psicofisico pubblicata nel 2022 ad esempio rileva che tra le persone in condizioni di precariato sono diffusi sintomi riconducibili a stress e ansia, e sensazioni di malessere tra cui frustrazione, insoddisfazione, bassa autostima, irritabilità, vergogna, senso di vuoto e senso di colpa. In particolare, l’incertezza lavorativa a breve e lungo termine, come quella che riguarda gli insegnanti precari, può condizionare la capacità di fare piani per la propria vita e programmare il proprio futuro, dal radicarsi in un luogo alla genitorialità: una situazione che a sua volta può condurre a stati d’animo di demoralizzazione, inadeguatezza, emarginazione. Per quanto riguarda nello specifico gli insegnanti, varie ricerche e analisi parlano di un diffuso stato di stress dovuto principalmente alle condizioni lavorative. Secondo la Teaching and Learning International Survey (Talis), indagine internazionale sul personale scolastico dell’Organisation for Economic Co-operation and Development (Oecd), più è alto il livello di stress, maggiore sarà la propensione degli insegnanti a dire di voler lasciare la professione entro i prossimi cinque anni: proprio il livello di soddisfazione rispetto alle condizioni di lavoro influisce in modo significativo su questa scelta.
Il caso italiano
In Italia la ricerca in questo ambito è carente e tendenzialmente non fa distinzione tra precari e assunti. Uno studio pubblicato quest’anno però sottolinea come nel nostro Paese lo stress degli insegnanti sia legato al «sovraccarico burocratico» e alle «limitate opportunità di avanzamento di carriera», mentre un’indagine condotta nel 2022 in Lombardia ha fatto emergere come il 48% dei docenti riporti livelli critici in almeno uno dei tre sintomi principali del burnout (esaurimento emotivo, depersonalizzazione, bassa realizzazione personale): nello specifico della realizzazione personale, e cioè la percezione di efficacia e soddisfazione nel proprio lavoro, quasi 1 insegnante su 5 riferisce livelli bassi.
L’impatto sulle classi
Proprio in questi giorni inoltre è stata presentata la quarta indagine sulle condizioni di vita e lavoro degli insegnanti condotta dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca in collaborazione con l’istituto Iard e Bolton for education foundation. Dai dati condivisi con il Corriere della Sera, emerge che, al netto della passione sempre più diffusa tra gli insegnanti, l’84% degli intervistati crede che il prestigio della professione sia calato negli ultimi dieci anni e tanti pensano che potrebbe continuare a calare.
Le conseguenze del precariato non ricadono solo sugli insegnanti, ma anche sulle classi. Da un lato infatti con un ricambio annuale dei docenti, viene meno quella continuità educativo-didattica che, attraverso la creazione di un rapporto stabile e duraturo, fa in modo che l’insegnante possa davvero diventare punto di riferimento per gli studenti, tanto da un punto di vista scolastico quanto di crescita personale. Dall’altro lato, come evidenziato da alcune ricerche condotte negli ultimi anni, il benessere del docente è strettamente connesso a quello degli alunni, così come al loro successo accademico: alti livelli di stress infatti potrebbero rendere più difficile la capacità degli insegnanti di gestire le classi, compromettere il rapporto con gli studenti, abbassare la qualità dell’insegnamento.
Ieri, 5 ottobre, è stata la Giornata mondiale degli insegnanti, istituita dall’Unesco nel 1994, un’occasione pensata per celebrare gli insegnanti, per discutere del loro ruolo sociale e delle loro responsabilità, ma anche per comprenderne le difficoltà e i bisogni. E oggi in Italia il bisogno principale di quegli oltre 234mila docenti precari è il riconoscimento del loro ruolo, del loro valore, della loro dignità.
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