Ci sono parole che sembrano fantasmi del passato. “Terapie di conversione”, per esempio. Cioè interventi mirati a modificare l’orientamento sessuale o l’identità di genere. «Sei una persona gay o trans? Stenditi sul lettino».

“L'invito” sembra arrivare da un altro secolo ma è in realtà una pratica riscoperta nel nostro continente, quasi in sintonia con una destra che parla di gender e demonizza le persone Lgbt proiettando paure antiche sulla società. Una madre che porta la figlia dal parroco per «metterla a posto», un padre che accompagna il figlio da uno “psichiatra” e per anni subisce un lento tentativo di rieducazione: cambiare modo di camminare, parlare, persino tagliarsi i capelli per apparire “più maschile”.

In Italia queste pratiche non sono vietate. Ci pensa l’Europa a farlo. La Commissione LIBE (Libertà civili, giustizia e affari interni) del Parlamento europeo ha approvato una revisione della direttiva contro gli abusi sessuali sui minori. All’interno del testo sono stati inseriti due emendamenti presentati dall’eurodeputato italiano Alessandro Zan (Partito Democratico, gruppo S&D), che rappresentano un potenziale punto di svolta per la tutela dei diritti delle persone Lgbt in Europa.

L’emendamento approvato inserisce nel testo legislativo una definizione ufficiale delle pratiche di conversione e le riconosce come potenzialmente dannose. Inoltre, introduce un’aggravante per i reati sessuali compiuti su minori per motivi discriminatori legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere.

«Si tratta di un passo storico per i diritti Lgbt in Europa», ha dichiarato Zan. «In un momento in cui i diritti delle persone Lgbt sono sotto attacco in molti paesi, l’Europa manda un messaggio chiaro: siamo dalla parte della libertà e dell’autodeterminazione», ha aggiunto.

L’aggravante europea

La direttiva, inclusiva degli emendamenti Zan, non è ancora legge. Per ora, la definizione delle pratiche di conversione sarà inserita nella direttiva come parte interpretativa: non obbliga ancora gli Stati membri a vietarle, ma crea una base legale su cui l’UE potrà costruire nuove norme più vincolanti in futuro.

Diverso il discorso sull’aggravante per gli abusi a sfondo discriminatorio: quella, se approvata, dovrà essere recepita direttamente nei codici penali dei singoli Stati. I prossimi passaggi cerchiati in rosso sul calendario: il 18 giugno il Parlamento europeo voterà in plenaria il testo completo. Poi si aprirà una trattativa tra Parlamento, Commissione e Consiglio per arrivare alla versione definitiva. Il voto finale è atteso entro fine anno. Se la direttiva passerà, gli Stati avranno circa due anni per adeguare le proprie leggi. In Italia, dove ancora manca una norma contro le pratiche di conversione, sarà il momento della verità.

La battaglia politica 

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le terapie di conversione non hanno alcuna base scientifica e possono causare: ansia, depressione, disturbi post-traumatici e, in alcuni casi, tendenze suicide. Anche l’ONU e la World Medical Association hanno definito queste pratiche “lesive della dignità umana”.

In Italia nonostante l’opinione contraria di gran parte del mondo medico e scientifico, non esiste una norma che vieti esplicitamente queste pratiche. Nel 2016 il senatore dem Sergio Lo Giudice depositò una legge sul tema, ignorata. Tentativi come il ddl Zan, sono stati osteggiati politicamente, in particolare dalle forze di centrodestra.

Nel 2023, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ha ribadito l’illegittimità professionale delle terapie riparative e ha ricordato ai suoi iscritti che tali pratiche violano il codice deontologico. Tuttavia, la mancanza di una legge penale lascia aperta la possibilità che soggetti non regolamentati possano continuare a proporle, spesso nell’ambito religioso o pseudoscientifico.

Massimo Gandolfini, molto vicino al sottosegretario Alfredo Mantovano e consulente del dipartimento Antidroga per la Presidenza del Consiglio, passò alle cronache perché nell’aprile 2015 durante un convegno organizzato da Comitato Articolo 26, definì l’omosessualità non come una variante naturale – come affermano Oms e Onu – ma un «disagio identitario», da correggere «indirizzando il soggetto verso l’eterosessualità». Sostenendo che un bambino con un «disagio identitario» vada educato «nella coerenza del suo psichismo», cioè riportato nella «normalità» dell’eterosessualità.

«Mi auguro che il governo italiano sia coerente e prenda posizione contro queste barbarie», ha commentato Zan raggiunto da Domani: «Purtroppo, finora ha dimostrato, anche scegliendo figure come Gandolfini, di voler legittimare una visione discriminatoria e illiberale. È un atteggiamento pericoloso che alimenta l’odio per meri fini elettorali: un fatto deplorevole».

In Italia la frattura è destinata a crescere. Da una parte chi difende l’autodeterminazione, la salute mentale, la libertà dei giovani. Dall’altra chi, in nome di un ordine morale o religioso, pretende di “rieducare” ciò che non rientra nei binari tradizionali. La politica, ancora una volta, è specchio del Paese.

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