Dopo l’addio del suo pupillo Chad Chronister, Donald Trump ha annunciato la decisione di affidare a Terrance C. Cole il vertice della Drug Enforcement Administration (Dea). Una nomina che al momento è ancora in stand-by in attesa di una pronuncia del Senato che non ha ancora espresso un parere in merito. Ma mentre si attende la nomina formale, che permetterà a Cole di prendere il posto dell’amministratore ad interim Derek Maltz, emergono sospetti sul futuro capo del dipartimento.

Il personaggio

«Terry è un veterano della Dea da 21 anni, con incarichi in Colombia, Afghanistan e Città del Messico, e attualmente ricopre la carica di Segretario per la Pubblica Sicurezza della Virginia». Con queste parole Trump ha annunciato la scelta di Cole per guidare la Dea.

Ed in effetti l’uomo scelto dal tycoon appare con un vero e proprio veterano dell’agenzia: 21 anni di servizio, fino al 2020, senza mai raggiungere posizioni apicali. Ha guidato operazioni in Colombia e Messico ma anche in Afghanistan e in Medio Oriente. Un curriculum di tutto rispetto, sembrerebbe, da cui però emergono alcune crepe.

Due episodi in particolare, che negli ultimi anni hanno scosso particolarmente l’agenzia e le coscienze, sembrano essere in qualche modo legati alla figura di Cole. Il 22 maggio 2006 in una zona rurale vicino a Jamundì, una squadra speciale della polizia colombiana coordinata dall’ufficio locale della Dea viene attaccata nel corso di un’operazione antidroga da un gruppo di soldati dell’esercito regolare.

I militari, legati in vario modo ai cartelli, aprirono il fuoco sui dieci agenti uccidendo l’intera squadra. Cinque anni più tardi il cartello degli Zetas compì un violentissimo massacro di civili in Messico dopo aver ricevuto informazioni di intelligence prodotte dalla Dea e lasciate trapelare.

In entrambi i casi emerge il nome di Cole, che nel 2006 era un agente speciale dell’agenzia di stanza a Bogotà con compiti di supervisione e coordinamento delle operazioni, mentre nel 2011 gestiva da Dallas le operazioni contro il cartello degli Zetas. «La sfortuna esiste, ma quante volte capita che un fulmine ti colpisca due volte?», ha commentato alla Cnn un ex agente della Dea che lavorò con Cole. Ed infatti appare quantomeno curioso che su entrambi gli episodi l’agenzia non abbia mai reso pubblici i rapporti redatti in seguito ai due massacri.

I rapporti con il Messico

Ma oltre alle responsabilità personali, esiste anche un rischio a livello diplomatico. Quando nel 2019 il governo messicano interruppe buona parte della sua cooperazione con gli Usa sul narcotraffico, un piccolo gruppo di agenti antidroga americani iniziò a lavorare database e fascicoli giudiziari realizzando dossier su 35 membri dell’amministrazione messicana sospettati di avere rapporti con i cartelli. A guida di quel gruppo c’era proprio Cole, principale sostenitore della necessità di colpire i funzionari corrotti, che lasciò l’agenzia pochi mesi dopo quei rapporti deluso dalla linea intrapresa nella lotta al narcotraffico. La decisione di non perseguire così duramente i funzionari messicani, per evitare l’accusa di ingerenze, era inaccettabile per il futuro capo della Dea.

Mentre Trump annuncia la volontà di iniziare una lotta senza quartiere al narcotraffico, la nomina potrebbe rompere i sottili equilibri tra i due stati. La linea del futuro capo della Dea non è cambiata e ancora recentemente sottolineava che «i cartelli lavorano a stretto contatto con funzionari corrotti del governo messicano. Se il contribuente medio fosse a conoscenza di come questi due gruppi collaborano sarebbe disgustato».

«Just say no»

Sul fronte più strettamente legato alle sostanze preoccupano le posizioni proibizioniste di Cole. Contrario alla legalizzazione della cannabis, e convinto sostenitore della campagna “Just say no” negli anni ‘80, potrebbe portare avanti una rivalutazione della classificazione delle droghe leggere. Vari osservatori hanno sottolineato come esista un rischio concreto che si torni ad una criminalizzazione della marijuana.

Una posizione da lui rivendicata, nuovamente, dopo una visita alla Virginia cannabis control authority: «Dopo 30 anni tutti conoscono le mie posizioni sulla marijuana quindi non chiedetemelo nemmeno!». 

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