Quando si esce al casello di Ancona Sud, la prima cosa che riempie lo sguardo è l’enorme costruzione che spicca sull’autostrada. Uno scheletro di cemento di cinque piani, alla cui facciata sono state aggiunte, pochi mesi fa con un’inaugurazione ad hoc, delle grandi vetrate, ma che dentro è completamente scarno e ancora da costruire.

Un bellissimo involucro: è il nuovo Inrca (Istituto nazionale di ricovero e cura per anziani) di Camerano, il simbolo di un rinnovamento che da fuori sembra procedere spedito ma che, a guardare bene, racconta un’altra storia dell’efficienza della destra marchigiana al potere. Durante la sua visita al cantiere il presidente della Regione, meloniano, Francesco Acquaroli ha detto che la fine lavori, che slitta di anno in anno, è prevista per il 2026, ma è intuibile dallo stato del cantiere che ci troviamo davanti che sia destinata a essere nuovamente posticipata.

Intanto però, in vista delle elezioni regionali del 28 e 29 settembre e dello scontro con il candidato dem Matteo Ricci, è una gran bella vetrina. E dopo avere fatto un giro tra Urbino, Fermo, Ancona e San Benedetto del Tronto, entrando di ospedale in ospedale, possiamo dire che le Marche esternamente si presentano bene.

Oltre la propaganda

Tuttavia non è tutto come appare da queste parti. È il caso dell’ospedale “Madonna del Soccorso” di San Benedetto del Tronto: mentre arriviamo a piedi, si notano i colori usati per rivestire le pareti esterne, grazie ai fondi dell’Unione europea per gli interventi di efficienza energetica.

Una parte è verde acceso, l’altra rossa e arancione. Anche la segnaletica è stata tutta riqualificata, ma basta fare due passi e muoversi tra i diversi piani della struttura per trovarsi dentro l’ospedale vecchio, con le pareti scrostate e i neon che non funzionano. Ma questa è solo la cornice. I problemi reali sono altri: il primo che abbiamo toccato con mano è quello delle liste d’attesa.

Davanti a noi sono state rimandate a casa almeno cinque persone in cinquanta minuti, senza possibilità di prendere appuntamento per una visita perché «al momento la lista è chiusa». Il modello Acquaroli inizia a mostrare le prime crepe: «Non mi costringete ad andare fuori regione, io mi muovo solo in bicicletta», sbotta un anziano che non si rassegna a non poter prendere l’appuntamento che il medico gli ha richiesto.

Chi è riuscito a fissare una visita non ha potuto programmarla prima di marzo 2026. «Chissà se ci sono ancora», sorride una signora, sdrammatizzando con l’operatrice del Cup, il Centro unico prenotazione.

Vale per ogni tipo di prestazione, anche per quelle che per legge dovrebbero essere garantite entro dieci giorni. Per rispondere a questa emergenza servono più medici e quindi più prestazioni erogabili. Secondo i dati Gimbe del 2024, il 9,7 per cento dei marchigiani, circa 150mila persone, ha abbandonato cure e diagnosi. Quasi uno su dieci decide di non curarsi più: chi può paga di tasca propria al privato, chi non può rinuncia. È la fine del principio stesso di sanità pubblica.

«Abbiamo un algoritmo pronto già dal 2021 a gestire centralmente le agende del Cup, monitorare l’offerta di prestazioni e ridurre le liste d’attesa, ma la Regione lo ha bocciato: non interessa», racconta un medico di alto rango della struttura pubblica, che per tutela, ha chiesto di restare anonimo.

«Perché qui il clima è pesante», continua. «Non sarei il primo a cui vengono messi i bastoni tra le ruote sul posto di lavoro per avere parlato con i giornali. Siamo in un momento in cui manca personale e spesso vengono inserite persone non competenti ma solo perché amiche o parenti di qualcuno in Regione. Ho visto letti spostarsi da un reparto all’altro proprio per permettere l’inserimento di queste persone».

Fallimento Pnrr sanità

Mettendo in fila i dati, emerge che la Regione Marche ha ricevuto 431,2 milioni di euro dal Pnrr ma è riuscita a spendere solo il 21,3 per cento a metà 2025. Nello specifico ad Ancona è stato speso solo l’8,4 per cento (2,9 per cento per le Case di Comunità e il 5,5 per cento per gli Ospedali di Comunità); a San Benedetto del Tronto l’1,7 per cento; a Pesaro-Urbino circa il 12 per cento; a Macerata il 12,6 per cento; ad Ascoli solo l’1,7 per cento.

Su tutto incombe la scadenza europea di giugno 2026. Nel frattempo la Regione ha annunciato, tra le tante, la riapertura dell’ospedale di Cingoli, di cui l’assessore alla sanità Filippo Saltamartini è stato sindaco per dieci anni, e il potenziamento di quello di Pergola, paese dell’assessore ai lavori pubblici Francesco Baldelli. Tutte strutture che già in passato soffrivano la mancanza di personale e quindi andranno a pesare sugli operatori degli ospedali limitrofi.

Ma il piano edilizio ospedaliero della Regione prevede altri tre nosocomi da aprire e non solo. Li elenca Carlo Maria Maffei, ex direttore sanitario all’interno di ospedali e Asl. «Pesaro, Macerata, San Benedetto del Tronto, sei nuove palazzine per il Dipartimento di Emergenza e Accettazione, DEA (Urbino, Fano, Fabriano, Senigallia, Civitanova Marche e Ascoli Piceno) e di fatto il nuovo ospedale di Pergola. Vanno aggiunti quelli in via di completamento di Fermo e del nuovo Inrca, più Torrette-Salesi, Camerino-San Severino, Amandola e Cingoli».

Per portare tutto questo a compimento, mancano i fondi. «Solo per i tre nuovi ospedali sono stati stanziati 371 milioni», continua Maffei. «In base ai costi, ne mancano altrettanti». Ma tra vernici fresche e nastri rossi tagliati davanti alle gru, che qui nelle Marche spiccano sovente, la propaganda non è riuscita a nascondere quello che manca.

Senza risorse

Lo raccontano i molteplici casi di diagnosi errate portati alla cronaca, i racconti di ore di attesa al Pronto Soccorso prima di ricevere assistenza, la mancanza di trasporto in ambulanza, il referto tradotto con ChatGpt. «Per una popolazione di un milione e mezzo di abitanti è prevista nelle Marche una rete di 14 ospedali pubblici per acuti con DEA (Dipartimento di Emergenza e Accettazione) contro i 10 massimi compatibili col DM 70», conclude Maffei. «Questa rete non funzionerà mai per carenza delle risorse necessarie e allo stesso tempo assorbirà più di un miliardo di euro in investimenti edilizi».

Da qui, dal lungomare di San Benedetto dove il nuovo ospedale resta un altro annuncio su carta, la distanza tra politica e bisogni delle persone si vede bene. Da una parte i cantieri e i rendering, dall’altra i racconti dei malati e i dati. Il rapporto Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, in ambito oncologico dice che le Marche insieme a Calabria, Molise, Basilicata e Sardegna, sono da «supportare nella definizione della rete e nella sua successiva attuazione». È molto bassa l’adesione legata agli screening oncologici. Per esempio, solo il 40,3 per cento delle donne marchigiane si è sottoposto alla mammografia di screening, molte meno rispetto alla media nazionale (50,0 per cento) e alle regioni del Nord Italia.

Mentre la Regione si prepara allo scontro elettorale finale, con l’arrivo in queste ore di Matteo Salvini ad accompagnare in tour l’attuale presidente della Regione, a pochi chilometri da qui, nel luogo dell’eccidio di Monte Sant’Angelo dove i nazifascisti uccisero oltre 60 persone tra civili e partigiani, raccontano di una cena recente tra camicie nere in bella vista, alla presenza anche di un europarlamentare. Voci incontrollate nella foga della campagna elettorale o verità che è meglio tenere nascoste? Meglio affidarsi alla saggezza del luogo: «Speriamo che non piova più», dice un anziano, «così in piazza arriva più gente».

© Riproduzione riservata