Proprio mentre Jannik Sinner andava in finale a Parigi, la Nazionale di calcio prendeva tre gol in Norvegia nella prima partita di qualificazione per i Mondiali del 2026, dopo aver già saltato quelli del 2018 e del 2022. La selezione del talento si è fermata: i tesserati sono scesi di 40 mila unità in un anno, mentre sono aumentati quelli di pallavolo, atletica, basket, nuoto. La frattura con i club. L’assenza di riforme. L’uscita dal circuito dell’innovazione
Gli ultimi dati messi a disposizione da Sport & Salute raccontano che il calcio italiano ha perso in un anno 40 mila tesserati. Fra gli sport più diffusi è stato il solo a calare. Il tennis è cresciuto di 200 mila, la pallavolo di 15 mila, l’atletica di 14 mila, il basket di 7 mila, il nuoto di 3 mila. È da qui che forse bisogna partire per raccontare cos'è successo venerdì a Oslo, tre gol presi dalla Norvegia nella prima partita di qualificazione ai Mondiali dopo aver già saltato gli ultimi due. Prima ancora di lamentarsi che per i giovani non c'è spazio in serie A, bisogna chiedersi quanto il calcio sia ancora nei loro pensieri.
Non può certo essere considerata un'emergenza per la società italiana. Questa disaffezione sta producendo non solo l'età dei Sinner e dei Musetti, dei Furlani e dei Michieletto, tutti fioriti nelle federazioni più virtuose, ma forse sta portando anche più musicisti, più ingegneri, più medici. È il calcio che casomai dovrebbe esserne inquietato, ma non pare. Quando in un’azienda qualcosa si inceppa, si prova a cambiare. Nel mese di aprile il calcio italiano ha invece rieletto Gabriele Gravina presidente della federazione con il 98,7% dei voti. Un plebiscito che in genere si registra dove ci sono degli eroi o un sistema malato.
La frattura con i club
Il sistema del calcio italiano è appiattito sui club. Nel giorno in cui la Nazionale giocava a Oslo, tutti i suoi dirigenti erano in un teatro di Parma a guardare come il computer della Lega scriveva il calendario della prossima serie A, compresi Marotta, Campoccia e Carnevali, tre consiglieri federali, dirigenti anche della Nazionale. La migliore fotografia di due mondi che non si parlano, una scollatura che racconta e spiega lo stallo e l'immobilismo dai quali passa l'incapacità di innovare qualunque cosa: i calendari, il settore tecnico, i settori giovanili.
Siamo prigionieri del ricordo di una grandezza antica. Le sconfitte in Norvegia non sono una vergogna. Sono la nuova normalità. Dal 2022 hanno perso a Bodø una volta la Lazio e due volte la Roma per un complessivo 10-2. Il resto del mondo studia, si prepara, copia e ci sorpassa. Noi siamo chiusi nel nostro recinto rimuginando su com'era bello il calcio di una volta. Preparazione atletica e organizzazione di gioco vanno da un'altra parte, dove circolano saperi e competenze anche per merito dei nostri allenatori. Quelli che partono e vanno a lavorare all'estero. Dove non esiste un sistema bloccato: la Giordania si è appena qualificata per il suo primo Mondiale con un commissario tecnico marocchino.
Dinanzi a una simile inadeguatezza per le sfide della modernità, dovrebbe intervenire il CONI. Se non fosse che fra 20 giorni rischiamo di trovarci alla sua guida Franco Carraro, un signore di 86 anni, non il primo nome che verrebbe in mente per un rinnovamento. Di questo bisognerebbe parlare, prima che degli errori di Spalletti e di Bastoni. Molto prima e molto di più.
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