Oggi alle 16 e 30 il ministero dello Sviluppo ha convocato l’ennesimo tavolo tecnico sulla vertenza Whirlpool. Una causa durata 26 mesi, che si è conclusa con la decisione dei vertici della società che produce elettrodomestici di chiudere definitivamente la fabbrica di via Argine, a Napoli, avviando la procedura di licenziamento per 340 operai.

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La scelta è stata annunciata il 13 luglio dall’amministratore delegato di Whirlpool Italia, Luigi La Morgia, che ha rifiutato categoricamente la proposta avanzata dal ministero di prorogare la cassa integrazione per ulteriori 13 mesi, in attesa di trovare un acquirente o una soluzione più moderata. Di contro, ha “offerto” agli operai di trasferirsi nella sede di Cassinetta di Biandronno, in provincia di Varese, oppure ricevere un incentivo di 85mila euro per lasciare l’azienda. Offerte poi ritrattate, secondo quanto raccontato dai lavoratori, all’indomani del tavolo.

L’incontro di oggi, che sarà in videoconferenza e sarà presieduto dalla viceministra dello Sviluppo Alessadra Todde (M5s), si terrà alla presenza di Invitalia e dei capi delegazione dei sindacati confederali (Fiom Cgil, Uilm e Film Cisl). L’obiettivo è sempre lo stesso: impedire all’azienda di delocalizzare la produzione liberandosi degli operai.

Denunce provate

Il 22 luglio, centinaia di lavoratori campani sono arrivati a Roma per partecipare allo sciopero nazionale indetto dai sindacati confederali. Il corteo, partito dalla stazione Termini è arrivato in via Molise, sotto la sede del Mise, dove una delegazione di nove rappresentanti è stata ricevuta dai viceministri Todde e Gilberto Pichetto Fratin (FI). Il 23 luglio, Invitalia, secondo quanto dichiarato da Rosario Rappa, segretario generale della Fiom Cgil Campania, avrebbe fatto un sopralluogo nella fabbrica chiusa dal 31 ottobre 2020, per verificare la veridicità di quanto raccontato dalla multinazionale americana circa l’«inadeguatezza» dei lavoratori, ritenuti da Whirlpool «non più competenti».

Un coro unanime di lavoratori, quel giorno, ha denunciato che Whirlpool «ha preso per anni soldi pubblici, che potevano essere investiti nella scuola, nella sanità, nel lavoro stesso, e adesso vuole andare via». Come tutte le multinazionali estere attive sul territorio nazionale, anche Whirlpool ha ricevuto finanziamenti dal ministero dello Sviluppo economico e in un caso, nel 2020, dalla regione Campania. Ma di che cifre si tratta?

Domani è entrato in possesso dei dati sugli “aiuti” economici di cui ha usufruito la multinazionale americana fino al 2018, l’anno “più ricco”. In totale, dal 1992 al 2018 il ministero dello Sviluppo economico ha concesso a Whirlpool Emea spa, socio unico di Whirlpool Italia srl, 64.978.416 euro totali. Di questi, 34.500.796 sono stati erogati sottoforma di finanziamenti agevolati (l’ultimo risale a maggio del 1997), vale a dire erogati con fondi pubblici a un tasso inferiore rispetto a quello di mercato (solitamente pari allo 0,5) e restituiti da Whirlpool. Nel 2018, precisamente il 9 febbraio, quando il ministro dello Sviluppo in carica era Carlo Calenda, il contributo erogato (e non come finanziamento) è stato pari a 20.927.595 euro. 

Eppure la multinazionale, già l’anno successivo, nel 2019 aveva lasciato trapelare la volontà di chiudere lo stabilimento di Napoli e, subito dopo, aveva ritrattato con una nota. All’epoca il ministero era guidato da Luigi Di Maio, il quale dopo aver appreso l’intenzione dell’azienda, aveva postato un video su Facebook in cui firmava la revoca degli incentivi concessi alla multinazionale, perché «in Italia ci dobbiamo far rispettare». Secondo quanto spiegato in quell’occasione da Di Maio, inoltre, l’azienda «ha avuto circa 50 milioni di euro dal 2014 a oggi (2019, ndr).

Era l’11 giugno 2019 e la trafila di tavoli al Mise era appena iniziata. Nel 2015 e nel 2018, la regione Lombardia ha erogato per la multinazionale, rispettivamente, 573.371 e 2.174.715 euro, mentre nel 2016, 2.085.200 euro sono stati erogati dalla regione Toscana. Nell’anno del Covid-19, invece, la regione Campania ha concesso a Whirlpool 81.446 euro. In tasca a Whirlpool sono finiti in tutto 33.828.452 euro di fondi pubblici.

La sfiducia a Draghi

Quando il presidente del Consiglio Mario Draghi ha firmato il decreto per lo sblocco dei licenziamenti, il 30 giugno scorso, ha esposto 55.817 lavoratori al rischio concreto di perdere non solo lo stipendio, ma anche la cassa integrazione assicurata fino a quel giorno ai dipendenti a causa della crisi scaturita dall’emergenza sanitaria. All’indomani dell’entrata in vigore del decreto, Whirlpool ha avviato ufficialmente la procedura di licenziamento collettivo per i 340 dipendenti della fabbrica di Napoli.

La viceministra dello Sviluppo Todde ha convocato tavoli su tavoli, tecnici e nazionali, nel tentativo di convincere i vertici aziendali ad annullare i licenziamenti e accettare la proroga di 13 settimane di cassa integrazione, in attesa di trovare una soluzione meno brutale. Ma Whirlpool ha rifiutato, ferma sulle proprie posizioni.

Due settimane fa, stando a quanto riportano fonti governative, Todde avrebbe contattato il board italiano di Whirlpool per chiedere una spiegazione circa la chiusura dei vertici sulla possibilità di accettare la proposta avanzata dal governo sulla cassa integrazione, ma i vertici avrebbero risposto che la dirigenza italiana non ha competenze in merito, suggerendo alla viceministra di sentire il board americano.

Lo scambio, sempre secondo fonti governative, sarebbe avvenuto in videoconferenza, alla presenza di Todde. La risposta dei vertici americani avrebbe spiazzato tutti: non c’è fiducia nel governo italiano e, quindi, nel premier Mario Draghi. Sarebbe questa la motivazione del rifiuto categorico di scendere a compromessi con il Mise e palazzo Chigi. Secondo Whirlpool, infatti, accettare il prolungamento delle cig significherebbe rischiare che il governo faccia un’inversione di rotta sullo sblocco dei licenziamenti approvato a fine mese, ripristinando lo stop a ottobre e impedendo alla multinazionale di delocalizzare altrove la produzione, come ha invece intenzione di fare.

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