«Tutti i sacrifici che ho fatto in questi anni, li ho fatti solo per i miei figli e adesso ho perso tutto». Alfonso D’Urso ha lavorato in Whirlpool per 31 anni e, dal giorno in cui ha ricevuto l’sms che gli comunicava la chiusura della fabbrica di Napoli, il 30 ottobre 2020, la sua vita è cambiata. Spiega in lacrime che da allora non riesce nemmeno più a dormire di notte.

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A Roma è venuto con Susanna, la sua primogenita, laureata in giurisprudenza con una tesi proprio sulla Whirlpool e la normativa che regola la presenza delle multinazionali sul territorio nazionale. «Quel giorno è stata dura», racconta facendo un salto indietro a ottobre. «Come si può pensare di cambiare vita a 61 anni?», chiede retoricamente riferendosi al padre. Alfonso ha altri due figli. Stanno concludendo anche loro il percorso universitario. Studi pagati con fatica: «Tutte le mattine mi svegliavo e facevo 50 chilometri ad andare e a tornare», dice D’Urso. Ormai si sveglia all’alba e aspetta solo che la giornata finisca. Il più in fretta possibile.

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Vite stravolte

Dopo una vertenza portata avanti per 26 mesi, in cerca di una soluzione mai trovata, Whirlpool ha comunicato il 14 luglio l’avvio definitivo della procedura di licenziamento collettivo: 340 vite stravolte.

«Ho tre figli, prima mi vedevano poco perché uscivo presto per andare in fabbrica. Ora passo il tempo a rispondere alle loro domande: perché non lavori più, cos’è successo, ma adesso come facciamo? Non è facile, anche perché guardano i telegiornali e lo capiscono di cosa si parla, lo sanno», spiega un altro dei lavoratori arrivato ieri a Roma per partecipare allo sciopero nazionale. Preferisce rimanere anonimo, forse proprio per proteggere i suoi tre bambini. Lui era assunto con un contratto di livello cinque, trasformato in contratto di solidarietà già due anni fa, quando la Whirlpool chiedeva ai dipendenti «pazienza e collaborazione», iniziando a diminuire le ore di lavoro e abbassando gli stipendi.

Sotto al ministero dello Sviluppo economico, però, c’è anche tanta rabbia. «Io lavoro, non lavoravo, lavoro da vent’anni e lavorerò ancora per Whirlpool, come tutti i miei colleghi, perché l’azienda ha siglato un accordo, prendendo 17 milioni dallo stato, il governo deve far sì che le multinazionali rispettino gli accordi presi», dice Carmela Nappo, impiegata nel comparto metalmeccanico, mentre indica la “costituzione della multinazionale” che hanno costruito apposta per l’occasione. È una grande bocca verde che divora la carta costituzionale, quella vera. Carmela, come Alfonso, dice di avere il sostegno dei suoi bambini che le dicono «mamma, continua a lottare» e di suo marito, «non sono sola, mi sostengono ogni giorno e ce la faremo», conclude.

C’è poi chi ha smesso di credere nella politica. «Ho portato con me la tessera elettorale. La strapperei, perché tre governi e tre ministri dello Sviluppo economico diversi non sono stati in grado di risolvere questa situazione. Chi ci rappresenta? Perché dovremmo ancora andare a votare?», chiede Luisa Velisti. Lei, insieme ad altre due colleghe, Maria Simonetta e Michela Esposito, erano impiegate nel comparto logistico dell’azienda. Hanno tutti dei figli a cui dare risposte che non hanno perché, a monte, manca una motivazione. I loro redditi perdono ogni mese tra i 600 ai 700 euro, ma nonostante le difficoltà, ogni mattina raggiungono la sede della Whirlpool, in via Argine a Napoli, e presidiano il sito davanti ai cancelli chiusi.

La delegazione al Mise

Alle 11 e 40, una delegazione di nove rappresentanti è salita al Mise per incontrare la viceministra dello Sviluppo economico, Alessandra Todde, e portare sul tavolo, ancora una volta, la vertenza Whirlpool. L’incontro è durato un’ora e mezzo. Secondo quanto riportano i rappresentanti, era presente anche l’altro viceministro dello Sviluppo economico, Gilberto Pichetto Pratin. Assente, invece, il ministro Giancarlo Giorgetti.

«Grazie a voi, che l’avete fermato su una statale – ha detto Tibaldi – il presidente Draghi ha preso in carico la vertenza e, insieme al ministero, sta definendo una norma che vieti alle multinazionali di andare via quando lo decidono». Tuttavia, palazzo Chigi ha solo 65 giorni, quelli che mancano alla chiusura definitiva della vertenza, per poter approvare la legge. «Vedremo», ha affermato Tibaldi, aggiungendo poi che i viceministri hanno accettato di convocarli di nuovo fra sette giorni, alla presenza di Invitalia, accusata dai sindacati di «non aver fatto i conti in tasca a Whirlpool». Proprio ieri, infatti, la multinazionale americana ha pubblicato sul suo sito il bilancio annuale della fabbrica di Napoli, dichiarando un utile del 32 per cento: «la cifra più alta degli ultimi tre anni», ha precisato Raffaele Apetino, coordinatore nazionale Fim Cisl.

I rappresentanti sindacali denunciano le menzogne che hanno caratterizzato la narrazione della multinazionale rispetto alla produzione degli elettrodomestici nella fabbrica campana, definendole «vergognose e offensive» nei confronti dei lavoratori, ma anche del governo, con il quale Whirlpool aveva siglato un accordo nel 2018 cui è venuta meno. «Risponderemo a ogni bugia con la verità, perché non permetteremo più a nessuno di toglierci il futuro», ha concluso Tibaldi.   

Secondo quanto riportato dai capi delegazione, un’altra richiesta avanzata a nome dei lavoratori, è stata quella di portare Whirlpool in tribunale, intraprendendo azioni civili e legali con il sostegno del governo. Proprio il governo, infatti, secondo i rappresentanti nazionali dei sindacati dovrebbe denunciare la multinazionale per essere venuta meno agli accordi presi. «Non accetteremo proposte senza prima averle concordate. Siamo stanchi di visionare piani alternativi che promettono il lavoro solo su carta. Noi vogliamo il lavoro, quello vero», ha detto Gianluca Ficco, segretario nazionale della Cisl.

Si levano gli applausi dei lavoratori in sciopero, che annunciano altre mobilitazioni, in attesa del prossimo tavolo. Nel frattempo, però, il tempo continua a correre.

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