Sulle aggressioni nei confronti del personale della scuola, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, in un’intervista al Corriere della Sera, ha assicurato che lo stato chiederà un danno ai genitori violenti.

Le aggressioni e violenze nelle scuole contate dal ministero sono 36 nell’anno scolastico 2022-2023, 26 finora in quello nuovo partito a settembre. Sono aumentate le azioni offensive dei familiari, diminuite quelle da parte degli studenti.

Un «allarmante aumento degli episodi di violenza», si legge sul sito del Miur, ma quelli forniti sono gli unici dati esistenti: mancano tutte le informazioni per interpretare questi (pochi) numeri e sistematizzarli. Anche i sindacati confermano l’assenza di dati utilizzabili per un’analisi strutturata.

L’ultimo caso di cronaca coinvolge un istituto di Varese, dove un ragazzo di 17 anni avrebbe colpito con un coltello un’insegnante, sottoposta d’urgenza a un intervento chirurgico, non sarebbe in pericolo di vita. Lo studente, che avrebbe disturbi del comportamento, è stato arrestato per lesioni, ma l’accusa potrebbe trasformarsi in tentato omicidio.

La proposta di legge

Non è chiara dunque, in assenza di dati, la diffusione del fenomeno relativamente al contesto, alla dinamica e ai fattori che portano alla violenza. Nonostante ciò l’iniziativa di legge, approvata alla Camera e passata al Senato, prevede l’istituzione di una Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale scolastico, il 15 dicembre.

Si propone poi di aumentare le pene per chi aggredisce il personale scolastico, introducendo un’aggravante, e l’istituzione di un Osservatorio sulla sicurezza del personale scolastico. A ciò si aggiunge la decisione del ministro di richiedere all’Avvocatura di stato di rappresentare nei giudizi civili e penali i lavoratori della scuola.

«Non possiamo aspettare di essere menati per avere qualcuno che ci difende», dice la segretaria generale Cisl Scuola Ivana Barbacci, «dobbiamo capire le cause».

Secondo il sindacato, sono strumenti utili ma che non devono essere riforme a costo zero. Ma ancora più alla radice, spiega Barbacci, «bisogna cominciare a valorizzare chi fa scuola, in termini di dignità sociale, è il compito della Repubblica», e creare un legame forte con la rete sul territorio.

Per il sindacato, occorre abbassare il numero degli studenti per classe, «per creare condizioni per prendersi cura di chi ha più necessità di essere ascoltato, in una scuola oggi pervasa da burocrazia».

Aggiunge: «Siamo pieni di osservatori, quello che manca è un’azione conseguente», sottolineando che «anche una sola aggressione obbliga l’opinione pubblica a riflettere», ma l’eterogeneità dei casi obbliga a un’analisi in profondità.

La logica securitaria

Manuela Calza, segretaria nazionale di Flc Cgil, conferma l’aumento di episodi di violenza, «in realtà come la sanità e l’istruzione, dove assistiamo a un progressivo disinvestimento e riforme cattive che screditano l’intero sistema».

Rispetto ai singoli episodi, precisa, sono indiscutibili le responsabilità civili e penali che devono essere indagate dalle autorità. Ma «il sistema educativo», spiega, «non può affrontare questi temi con una logica securitaria e punitiva». I provvedimenti devono avere finalità educative, bisogna ripristinare rapporti corretti all’interno della comunità scolastica.

Per la Flc Cgil le azioni securitarie e punitive «sono soltanto una modalità per non intervenire sulle vere problematiche», considerando che la violenza non è esclusiva del rapporto scuola-studenti. Occorre, sottolinea Calza, «lavorare sulle relazioni, sugli ambienti, sulle condizioni. Azioni che non emergono dalle scelte politiche da molti anni».

Dario Ianes, professore dell’università di Bolzano e fondatore del Centro studi Erickson di Trento, sottolinea che con il nuovo governo il discorso repressivo e autoritario ha fatto un grande passo in avanti. «E l’irrigidimento crea frustrazione», spiega, «crea tensione» e crea antagonismo tra il mondo della scuola, la famiglia e lo studente.

Quando si ricorre al tar significa che i due sistemi, famiglia e scuola, sono stressati, spiega. «Paghiamo anni di disinvestimento verso la scuola e questo vuole rovesciarsi in termini di autoritarismo». Per Ianes, «c’è un sentimento di stanchezza, di allontanamento degli studenti, un segnale di perdita di contatto», che si somma al fatto che il paese non sta bene in termini di sviluppo e fiducia per il futuro.

Una società violenta

Secondo una ricerca condotta dal medico Vittorio Lodolo D’Oria, in 10 anni – dal 2014 al 2023 – tra gli insegnanti si sono verificati 100 suicidi, 10 all’anno.

«Io sostengo che la scuola non sia sede della violenza ma che sia un importatore della violenza», spiega a Domani lo psicoterapeuta e analista adleriano Domenico Barrilà, precisando: «È una società violenta, che tende a stigmatizzare la scuola o la famiglia».

L’idea è intervenire sui guasti, dice l’analista, «senza una parola su ciò che, a getto continuo, li provoca». Un ragazzo che sbaglia è un ragazzo che sta male, spiega l’analista, e «la sofferenza è un linguaggio che va interpretato».

Agire in modo securitario, sottolinea Barrilà, significa non avere risposte, considerando che sono gli ultra 60enni ad avere in mano le redini della collettività e «i ragazzi e le ragazze rappresentano una componente non più comparabile».

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