Il titolo conseguito tra il 2017 e il 2019 non è più abilitante per lavorare nei servizi per l’infanzia a causa di nuovi criteri introdotti da due decreti successivi. «Ci siamo fidati, abbiamo studiato, lavorato, adesso ci ritroviamo con una laurea mutilata», dice una delle educatrice coinvolte. Secondo le stime più recenti, la “zona grigia” dei laureati penalizzati potrebbe arrivare a 31.000 persone in tutta Italia
Il 20 giugno 2025, 400 educatori della fascia 0-3 anni – formati, occupati e spesso con anni di esperienza alle spalle – hanno ricevuto una mail dall’università di Modena e Reggio Emilia (Unimore). L’oggetto era asciutto, la sostanza devastante: la laurea che avevano ottenuto tra il 2017 e il 2019 non è più abilitante per lavorare nei servizi per l’infanzia. Motivo? Il loro piano di studi non soddisfa i criteri introdotti dal Decreto Legislativo 65/2017 e dal successivo DM 378/2018. Risultato: il titolo è formalmente valido, ma non permette più di esercitare la professione per cui era stato ottenuto.
La responsabilità ricade su Unimore, che ha continuato a immatricolare studenti a corsi non conformi anche dopo che i nuovi requisiti erano già legge. Le linee guida ministeriali erano note, il decreto ministeriale attuativo è del maggio 2018, eppure l’ateneo ha lasciato invariati i piani di studio fino al 2019-2020. Altri atenei – come Bologna – si sono adeguati, Unimore no.
E adesso, invece di assumersi l’onere del proprio ritardo, chiede ai laureati di rientrare da studenti “sovrannumerari”: 550 euro di iscrizione, da due a cinque esami, un nuovo tirocinio e persino una nuova tesi. Anche per chi ha già una magistrale.
Il rischio di perdere il lavoro
Un danno nel danno: chi non accetta la proposta rischia di perdere il lavoro. Alcuni enti – pubblici e privati – stanno già chiedendo ai propri dipendenti di mettersi in regola, pena l’esclusione dai bandi e la cessazione del contratto.
La direttrice del dipartimento, Annamaria Contini, ha parlato di «percorso per acquisire i crediti mancanti», ma per molti si tratta di una trappola: tornare studenti per rimediare a un errore che non è il loro.
In meno di due settimane, decine di ex studenti si sono incontrati ai Chiostri della Ghiara e hanno dato vita al “Comitato dei laureati beffati”.
«Ci siamo fidati, abbiamo studiato, lavorato, adesso ci ritroviamo con una laurea mutilata», racconta una delle promotrici. Chi ha già una famiglia, un mutuo, un impiego precario da difendere, si trova sospeso in una bolla normativa: formalmente abilitato ieri, improvvisamente inidoneo oggi. E senza nessuna garanzia per domani.
I sindacati
I sindacati sono scesi in campo. La Cgil ha chiesto un incontro urgente con l’università e ha denunciato pubblicamente l’anomalia: «Nessun altro ateneo ha adottato misure tanto penalizzanti. È un caso di responsabilità istituzionale scaricata sui cittadini». Adl Cobas chiede il ritiro della proposta e l’attivazione immediata di percorsi gratuiti. Intanto si prepara un presidio davanti all’ateneo, previsto per sabato 12 luglio.
La questione non è solo accademica, ma giuridica. Il principio del legittimo affidamento impone che un cittadino possa confidare nella validità del percorso formativo scelto sulla base delle informazioni fornite dall’università. Chi si è immatricolato nel 2017 o nel 2018 non poteva sapere che il proprio corso non sarebbe più stato abilitante. La colpa – se così si può dire – è solo aver scelto Unimore invece di un altro ateneo.
Secondo giuslavoristi e costituzionalisti, il caso configura una responsabilità oggettiva dell’università, che potrebbe essere chiamata a rispondere in sede civile per la perdita di chance professionali. E non solo: esistono precedenti Tar in cui sono state annullate decisioni unilaterali delle università che modificavano retroattivamente il valore di un titolo.
Secondo le stime più recenti, la “zona grigia” dei laureati penalizzati potrebbe arrivare a 31.000 persone in tutta Italia. Se altre università hanno agito come Unimore – ovvero in ritardo, senza trasparenza e senza piani di transizione – il caso potrebbe assumere dimensioni esplosive. Ecco perché la Regione Emilia-Romagna, per voce dell’assessora Isabella Conti, ha chiesto una sanatoria nazionale: «Non possiamo lasciare appese al vuoto normativo persone che hanno lavorato con competenza nei nostri nidi».
Conti ha anche evidenziato il rischio per i servizi educativi: senza una soluzione rapida, interi comparti potrebbero restare senza personale. La politica tace, il ministero dell’Università ancora non risponde, ma il tempo stringe.
La vicenda Unimore è il simbolo di una torsione pericolosa del sistema universitario italiano: l’ateneo da luogo di formazione a ente certificatore, con obblighi giuridici reali. Se questi obblighi vengono disattesi, il danno non è solo simbolico, ma concreto. Si distrugge il futuro di centinaia di persone, si minano interi servizi pubblici, si infrange un patto fiduciario che regge da decenni.
Nel silenzio delle aule e delle stanze ministeriali, resta la voce dei laureati: «Ci avete formati, ci avete valutati, ci avete consegnato un titolo. Ora ci dite che non vale. Ma a non valere siete voi».
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