L’esposto di uno dei tre commissari silurati dal ministro alla base del fascicolo con indagati. La terna aveva dato il via all’indagine sulla società, che aveva tra i consulenti il legale degli Urso
Da un lato l’inchiesta dei magistrati con al centro la decisione del ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, di revocare i commissari straordinari di Condotte d’Acqua spa. E dall’altro il fascicolo sull’indagine che riguarda gli imprenditori Isabella Bruno Frigerio Tolomei e Duccio Astaldi, moglie e marito accusati dai pm capitolini di bancarotta per il crac del medesimo colosso delle costruzioni.
Due fascicoli separati, le cui vicende sembrano però intrecciarsi. Hanno del resto in comune l’analisi di vita, morte e miracoli dell’azienda delle grandi opere, quella che in Italia e nel mondo ha realizzato dighe, strade e autostrade, ferrovie, porti, tribunali, scuole, ospedali e infrastrutture famosissime come la Nuvola di Fuksas e il Mose di Venezia.
Ma, se l’inchiesta che potrebbe rappresentare un grosso problema per il ministero delle Imprese e del Made in Italy si sta focalizzando, come rivelato ieri da questo giornale, sulla decisione di revocare l’amministrazione straordinaria della spa per piazzare altri commissari più graditi al ministero, la seconda riguarda tutto ciò che ha portato al suo crollo definitivo, al fallimento. Un filo sottile, dunque, lega i due capitoli giudiziari.
E non solo perché tra i consulenti di Condotte all’epoca c’era anche un uomo di fiducia del ministro Urso, l’avvocato Gianluca Brancadoro. Ma anche per via dello scontro tra il ministero e quei commissari che hanno dato via all’inchiesta per bancarotta sul colosso delle costruzioni. I responsabili della malagestione di Condotte, secondo la tesi dei pm, sono la regina e il re del calcestruzzo, i coniugi Bruno Frigerio Tolomei e Astaldi, di cui nei mesi scorsi è stato chiesto l’arresto. Misura, quest’ultima, che i legali degli ex vertici della spa hanno ritenuto essere «spropositata». E che il gip del tribunale di Roma, da quanto risulta a Domani, ha rigettato.
Nei mesi scorsi, i due imprenditori sono stati interrogati dal gip Roberta Conforti: «Astaldi si è detto amareggiato per l’approccio investigativo unilaterale rispetto a una vicenda societaria assai complessa sfociata in una crisi di liquidità determinata dal comportamento irrituale della banche e ha spiegato che, sin dal marzo 2018, non ha rivestito più alcun incarico né intrattenuto alcun rapporto con esponenti del mondo Condotte, scegliendo di ritirarsi a vita privata», dichiarano gli avvocati Luca Marafioti, Marta Santamaria e Massimo Amoroso.
In modo analogo «Bruno ha chiarito», continuano i penalisti, «di essersi sempre occupata solo di reperire risorse finanziarie secondo i piani triennali e a tale titolo di aver intrattenuto rapporti con le banche, nonché di non aver mai sottratto niente all’azienda e di aver, anzi, messo i beni di famiglia a disposizione della società a fini di rappresentanza». Intanto, nonostante il rigetto della richiesta di arresto in carcere avanzata dalla procura di Roma, le indagini del nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza, col coordinamento dell’aggiunto Giuseppe Cascini e della pm Alessia Miele, proseguono. Se l’accusa principale per Isabella Bruno Frigerio Tolomei e Duccio Astaldi è quella di bancarotta, ci sarebbero anche altri addebiti. I legali della difesa parlano di «venti pagine di incolpazioni e circa tremila atti depositati».
Il buco da 3 miliardi
Il crollo della società avviene nel 2018. Contestualmente, sette anni fa, la spa è dichiarata in amministrazione straordinaria, con ben tre miliardi di debiti. Viene così nominata la terna di professionisti che si occuperà del commissariamento straordinario: terna di cui faceva parte, già all’epoca, l’avvocato Giovanni Bruno, oggi revocato per decreto insieme a un altro suo collega e che ha poi denunciato in un esposto di aver ricevuto dai vertici del ministero di Urso «la promessa di una rapida liquidazione delle parcelle in caso di dimissioni». Esposto che ha portato all’apertura di un fascicolo di indagine con almeno due indagati, come rivelato da questo giornale.
La consulenza di Condotte
I tre commissari straordinari che hanno preso in mano la società in bancarotta hanno trovato una situazione disastrosa, spiegano diverse fonti autorevoli. Secondo il ministro Urso, però, il rapporto di fiducia si era incrinato per via della vendita della partecipazione in Eurolink, il consorzio nato molti anni fa con l’obiettivo di realizzare l’ormai mitologico ponte sullo Stretto: per Urso e il suo gruppo di fedelissimi, incluso il capo di gabinetto, Federico Eichberg, più che ceduto sarebbe stato svenduto. Eppure la scelta dei commissari di vendere a quella cifra si fondava su una perizia di un professionista esterno, che aveva considerato ogni dettaglio. Ma tant’è: per il ministro e i suoi collaboratori la fiducia era stata irrimediabilmente tradita. Da qui l’aut aut ai commissari: fate un passo indietro spontaneamente oppure per decreto.
Uno di loro, l’avvocato Bruno, non ha accettato la proposta e ha iniziato una duplice battaglia legale: nelle aule della giustizia amministrativa e con un esposto in procura, che ora indaga sugli elementi forniti dall’avvocato silurato da Urso.
Condotte ha annoverato molti consulenti. Tra questi, nel 2018, troviamo Gianluca Brancadoro, un grande amico di Urso nonché suo legale. Come risulta dai verbali societari letti da Domani, aveva ottenuto un incarico dall’organo di vigilanza di Condotte poco prima dell’arrivo dei commissari straordinari. Commissari che appena entrati hanno scoperto numerose anomalie dentro il colosso delle costruzioni confluite in diverse relazioni. Tutte inviate al pubblico ministero di Roma con l’elenco di una serie di elementi che dovevano consentire agli stessi magistrati di «effettuare tutte le valutazioni rispetto a comportamenti aventi potenziale rilevanza penale». I pm iniziano così a indagare sul crac. L’inchiesta dura ancora oggi, mentre i commissari sono stati “licenziati” dal ministro del Made in Italy.
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