La negoziante dell’Epiro che vende ciondoli d’oro non vuol sentire parlare di vaccini anti Covid-19. Il sorriso con cui si avvia la nostra conversazione viene meno appena il discorso cade sulla pandemia e le misure di contrasto. «Mentono, mentono su tutto»: le autorità sanitarie, i media, soprattutto il governo. Falsi i dati sulla campagna vaccinale, ingannevoli le statistiche ufficiali sui contagi. «La salute è la mia», dice, e «da questi politici e da questa Europa abbiamo già subito abbastanza». Lei parla della Grecia, piegata da anni di misure di austerità che hanno logorato la fiducia dei cittadini verso i decisori pubblici, i saperi ufficiali, persino le istituzioni indipendenti. Il mio pensiero va però inevitabilmente all’Italia. Penso ai messaggi che ricevo da contatti su WhatsApp, con pezzi di informazione “alternativa”, su ciò che “non ci dicono”, su ciò che “ci nascondono”. Ritrovo, nel linguaggio della commerciante greca, l’abitudine al sospetto che ispira le posizioni scettiche che si riversano sui social media. Non è ovunque lo stesso il problema, cioè la profonda sfiducia nelle istituzioni politiche e scientifiche?

Da questa prospettiva, provo a rileggere gli appelli alla vaccinazione fondati sull’idea di un “obbligo morale”, come quello che ha fatto recentemente il presidente Sergio Mattarella. Nel volume pubblicato da Donzelli, Etica dei vaccini, a cura di Marco Annoni, si trovano ottimi argomenti a sostegno di questa visione. Si legge, per esempio, che in presenza di malattie che pongono gravi rischi per la salute delle persone che ci circondano, «vaccinarsi è una scelta etica perché non riguarda solo sé stessi», perché consente di prevenire un danno grave al prezzo di un rischio individuale molto basso, e perché contribuisce a un bene pubblico importante come l’immunità di gregge.

Ognuna di queste affermazioni, però, suona falsa all’orecchio del no-vax, per il quale la gravità del pericolo è largamente esagerata dalla politica e dai mezzi di comunicazione, i possibili danni individuali provocati dal vaccino sono superiori a quanto dichiarano i saperi ufficiali, ed esistono altri rimedi al virus che permetterebbero di sconfiggerlo. Come possono incontrarsi, in uno sforzo deliberativo democratico, posizioni così distanti?

Di certo, la strada per convincere dell’importanza del vaccino cittadini e cittadine riluttanti non passa attraverso la ridicolizzazione delle loro paure e la banalizzazione dei loro dubbi. Non passa nemmeno per la trasformazione dei non vaccinati in capri espiatori, né per l’uso pedagogico/punitivo del green pass.

Nel suo ultimo libro, How to Talk to a Science Denier (come parlare a un negazionista scientifico), il filosofo statunitense Lee McIntyre nota che «non si possono cambiare le convinzioni di qualcuno contro la sua volontà, né di solito si riesce a fargli ammettere che c’è qualcosa che già non sa. Ancora più difficile è convincerlo a cambiare i suoi valori o la sua identità». Non c’è alcuna «easy way». Se vogliamo modificare le opinioni degli scettici, spesso alimentate dalla polarizzazione politico-mediatica, «dobbiamo andare là fuori, faccia a faccia, e cominciare a parlare con loro».

Rispettare l’altro

La questione, insomma, non è colmare un gap informativo, ma costruire fiducia nelle fonti delle informazioni. Perché le evidenze disponibili sono ritenute, da chi le rifiuta, poco attendibili e faziose. Il paradosso è che la comunicazione politica e mediatica sui vaccini appare tanto meno affidabile quanto più veicola una rappresentazione irrealistica della scienza come territorio di certezze assolute, anziché di apprendimenti progressivi. Perché in questo modo ogni cambio di posizione basato su nuove evidenze (e sappiamo quanto spesso è accaduto negli ultimi mesi) suona come un fallimento e accresce lo scetticismo nel pubblico.

Viceversa, scrive McIntyre, «anche se può sembrare illogico, ammettere l’incertezza può effettivamente aumentare la fiducia». Soprattutto, però, il compito di chi intende infondere fiducia nelle misure di sanità pubblica e, nello specifico, convincere della necessità di vaccinarsi contro il Covid-19, è disporsi seriamente al dialogo e aprire uno spazio di reciprocità. Se ciò che si chiede ai no-vax è di preoccuparsi non solo di sé stessi ma anche di chi li circonda, non ci si può esimere dall’estendere anche a loro la nostra preoccupazione. Questo può comportare impegnarsi in una conversazione difficile, come mi ha insegnato l’incontro con la commerciante greca. Ma accettare la difficoltà significa rispettare qualcuno abbastanza da cercare di convincerlo delle proprie ragioni.

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