«Alliberateve de lu cagnuleddu», disse il boss di Cosa nostra, Giovanni Brusca, agli esecutori materiali dell’omicidio ai danni del quasi quindicenne Giuseppe Di Matteo. Il ragazzo è stato strangolato e sciolto nell’acido venticinque anni fa, dopo 779 giorni di prigionia. I tre assassini sono stati identificati nelle figure di Giuseppe Monticciolo, Enzo Brusca e Vincenzo Chiodo, ma l’intero rapimento e gli spostamenti della vittima durante la prigionia hanno coinvolto altri esponenti di spicco della cosca.

Il piccolo Giuseppe Di Matteo era figlio di Santino Di Matteo, appartenente alla famiglia di Altofonte, vicina ai corleonesi. Una volta arrestato, Santino venne accusato di oltre dieci omicidi e di aver preso parte alla strage di Capaci. Decise di diventare un collaboratore di giustizia, scelta che pagò a caro prezzo con l’uccisione del figlio.

A raccontare i dettagli del rapimento è stato il pentito Gaspare Spatuzza, boss di Brancaccio a capo del commando che eseguì l’operazione: «Siamo entrati in questo maneggio, avevamo le casacche della polizia, nessuno di noi conosceva questo bambino, quindi abbiamo chiesto, chiamavamo “Giuseppe, Giuseppe". Il bambino dice: "Io sono". Ci siamo avvicinati e gli abbiamo detto: "Dobbiamo andare da papà” e sto bambino si è fatto avanti, perché rappresentavamo per lui la sua salvezza. Lo abbiamo portato in macchina e siamo usciti, gli abbiamo detto che si doveva nascondere bene, perché "siamo qui per te, per tuo papà". E questo bambino ha detto: "Ah, papà mio..". E io gli ho risposto: "Sei contento che devi andare da papà?". "Sì, papà mio, amore mio", una frase così toccante che sul momento non ci fai caso, poi però».

Il rapimento avvenne il 23 novembre del 1993 in un maneggio nella Piana degli albanesi. Durante la sua prigionia, il ragazzo venne spostato più volte nelle aree provinciali di Agrigento, Palermo e Trapani. Fino ad arrivare in un casolare a San Giuseppe Jato, dove venne strangolato e sciolto nell’acido. A dare l’ordine fu Giovanni Brusca, dopo essere venuto a conoscenza della mancata interruzione della collaborazione di Santino con gli inquirenti.

Per l’omicidio sono stati condannati all’ergastolo Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Salvatore Benigno, Francesco Giuliano e Luigi Giacolone. A Monticciolo sono stati inflitti venti anni di carcere, a Enzo Brusca trenta anni, a Chiodo ventuno anni di reclusione e a Spatuzza dodici.

Nel luglio del 2018 il tribunale civile di Palermo ha stabilito un risarcimento di oltre due milioni di euro alla madre e al fratello di Giuseppe Di Matteo.

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