Lo strano caso di Villa Mussolini a Riccione. Immagino che pochi in Italia sanno che nella Perla Verde adriatica esiste una villa, allora residenza estiva del dittatore italiano, ufficialmente nominata con tanto di targa “Villa Mussolini”. Non credo che esista un altro caso nel mondo: non ho notizie della presenza di altri edifici omologhi come Villa Hitler, Stalin, ma nemmeno Pinochet, Videla o Pol Pot.

La natura di questa intitolazione è del tutto apologetica, perché mai Mussolini ha avuto la proprietà della villa, che fu invece di Donna Rachele, e soprattutto la residenza aveva un proprio nome dedicato “Villa Margherita”. In quella residenza è passata la grande storia: nel 1934 fu ospitata la vedova del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss ucciso dai nazisti tedeschi, e Mussolini era a Riccione quando il 22 giugno 1941 fu informato da Galeazzo Ciano dell’inizio della campagna di Russia con l’operazione Barbarossa.

Le traversie di questa residenza sono di lunga data; da tempo la proprietà è di una fondazione bancaria, la svolta in questa direzione si ebbe però con una presa di posizione di una giunta Ds verso la fine degli anni Novanta, quando si decise la ristrutturazione dell’edificio e l’intitolazione ufficiale in “Villa Mussolini”. Per anni, spesso tra le proteste della società civile, questo uso apologetico della villa è continuato, usata come sede di eventi culturali e spettacoli. Recentemente è però avvenuto un notevole salto di qualità. È infatti di questi giorni la decisione dell’amministrazione comunale di Riccione di dare in comodato gratuito questa sede al nascente Centro di documentazione per la candidatura all’Unesco del patrimonio immateriale finalizzato alla salvaguardia e alla trasmissibilità del patrimonio culturale legato agli usi della spiaggia di Riccione.

Emancipazione mancata

Il corto circuito macroscopico che a mio avviso si accomuna con un’altra situazione romagnola, la mancata costruzione del cosiddetto Museo del fascismo a Predappio. Purtroppo l’Italia intesa come società, non riesce a emanciparsi da una visione padronale e paternalistica del potere, e anche i timidi tentativi di storicizzare il fascismo, culmine di questa anima italiana, sono rimasti al palo stoppati da una parte dell’accademia stessa e di una politica che non ha alcuna sensibilità in questa direzione. Mancando tale emancipazione rimane la goffaggine di accomunare “Mussolini” all’Unesco, che ricordiamo essere l’ente mondiale a tutela dei più importanti beni materiali e immateriali dell’uomo. Un ossimoro in termini. Si va ben oltre l’uso politico della storia: in questo caso non ci sono stratagemmi, letture opportunistiche o strumentalizzazioni, qui si crede realmente, e di mezzo è stata anche messa l’Università di Bologna, che accomunare il nome del duce a questa causa – la campagna stampa locale è stata ben chiara su questo – possa essere un valore aggiunto e premiante.

Come è possibile che un’amministrazione pubblica, il colore politico poco importa, possa pensare che un simile accostamento possa essere tollerato e accettato dall’Unesco, quando basta andare sul sito internet e vedere quanti programmi speciali ha attivati proprio su antisemitismo, shoah e genocidi?

Questi esempi mi appaiono paradigmatici per riflettere sugli italiani e sulla nostra storia contemporanea. Come può un cittadino tollerare che nella propria città ci sia una villa intitolata alla persona che con il suo comportamento ha portato a morire migliaia di persone, ha collaborato a un genocidio dopo aver scritto le leggi razziali, distrutto un paese con una guerra guidata dal solo ego personale, perseguitato migliaia di persone che avevano il solo torto di pensarla in modo differente dal suo riducendo un intero popolo in schiavitù. Apparentemente facile per alcuni riccionesi: per loro Mussolini a Riccione ha portato il turismo, di più lo ha sviluppato, ha reso il paese noto come località turistica. Considerato oggetto e contesto, il tutto è di un cinismo spiazzante.

Autobiografia di una nazione

Ritornano in mente le parole di Piero Gobetti, con il suo severo ma acuto giudizio sugli italiani, il fascismo come «autobiografia di una nazione». Mi faccio sempre più convinto che gli Italiani non siano cambiati così tanto dal 1920 a oggi. Non si tratta di non aver fatto i conti con il fascismo (che è vero) o con la conoscenza storica del ventennio (anche se è forte), ci confrontiamo con il perpetuo riproporsi dei vizi atavici della mentalità italiana: la retorica, la demagogia, il trasformismo, l’apoliticità, l’immaturità politica, l’esaltazione cortigiana, il parassitismo. Siamo sicuramente ben oltre il caso riccionese, ma in esso se ne trova macroscopica conferma. La nostra situazione politica e morale ristagna in questo passato che non passa, perdura nel conflitto irrisolto tra queste due anime, cristallizzatesi nella dicotomia fascismo\antifascismo. Questo cinismo individualista è politica attiva e quotidiana nello scenario italiano: pensiamo a Renzi e a quello che ha dichiarato su Bin Salman.

Parlando della riviera mi piace riflettere attraverso il più grande romagnolo contemporaneo, Federico Fellini, che ha così definito il fenomeno fascista «Con questo non voglio minimizzare le cause economiche e sociali del fascismo. Voglio dire che quello che mi interessa è la maniera, psicologica, emotiva, di essere fascisti: una sorta di blocco, di arresto alla fase dell’adolescenza.[…] Fascismo e adolescenza continuano a essere in una certa misura stagioni storiche permanenti della nostra vita. L’adolescenza, della nostra vita individuale; il fascismo, di quella nazionale: questo restare, insomma, eternamente bambini, scaricare le responsabilità sugli altri, vivere con la confortante sensazione che c’è qualcuno che pensa per te, e, una volta è la mamma, una volta il papà, un’altra volta è il sindaco, o il duce, e poi il vescovo, e la Madonna e la televisione».

Probabilmente Fellini ha capito, e sintetizzato, meglio di tanti politici, storici, filosofi, il rapporto tra italiani e fascismo; Mussolini capì che gli italiani erano poco propensi alle ideologie politiche, per questo li addomesticò usando il questo suo lato debole, l’eterna adolescenza, promettendogli di non pensare più a nulla e di risolvergli tutti i problemi. Le origini di questo fascismo intimo, sempre secondo Fellini, stanno dentro ognuno di noi, eliminando quindi le categorie assolute, e banalizzanti, di buoni e cattivi, che si identificano con la nostra parte più gretta, pigra e meschina, che trae origine dal provincialismo, dalla mancata conoscenza dei problemi reali, dall’arroganza o dall’opportunismo.

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