Sono quasi 70 gli anni totali di carcere comminati a 22 carabinieri della caserma di Aulla. Nell’aula gremita del tribunale di Massa è arrivata la sentenza di primo grado di un’indagine iniziata nel 2011, quando un cittadino di origine marocchina aveva presentato un esposto per lesioni, denunciando di aver subito maltrattamenti da parte dei carabinieri.

Da lì a cascata sono arrivati altri esposti e nuove testimonianze su presunti abusi in divisa a carattere sistematico e metodico, dal momento che riguardavano diversi militari operanti nella Lunigiana.

I reati sono quelli, tra gli altri, di lesioni, violenza sessuale, sequestro di persona e abuso d’ufficio. E non mancano, nelle intercettazioni, riferimenti ai metodi mafiosi e frasi razziste.

Violenze sistematiche e metodiche

«Quello che succede all’interno della macchina rimane all’interno della macchina, non deve scoprirlo nessuno, dal brigadiere in su. È cosa nostra, proprio come la mafia!». Ecco come parlavano alcuni dei carabinieri della caserma di Aulla, in provincia di Massa-Carrara, secondo quanto emerso dalle intercettazioni. Quello che succedeva erano abusi in divisa di ogni tipo, come stabilito nella giornata del 28 aprile dalla giudice Antonella Basilone, che al tribunale di Massa ha emesso la sentenza di primo grado comminando pene fino a 9 anni e 8 mesi a 22 carabinieri della caserma della Lunigiana.

I capi d’imputazione erano addirittura 189 e tra i reati contestati ci sono le lesioni, il falso in atti, l’abuso d’ufficio, il rifiuto di denuncia, il sequestro di persona, il possesso abusivo di armi e perfino la violenza sessuale.

Un primo esposto nel 2011 da parte di un cittadino di origine marocchina che denunciava maltrattamenti in caserma ha portato all’attivazione delle intercettazioni telefoniche. Un nuovo esposto coerente con il primo, arrivato nel 2016, ha portato alla disposizione delle intercettazioni ambientali.

E con il passare del tempo si sono accumulate decine di nuove testimonianze da parte di persone fermate e che hanno in qualche modo interagito con quei militari, a denunciare sempre lo stesso schema di presunte violenze in divisa.

Razzismo e violenze sessuali

«Qui menavamo di brutto». «Lo hanno gonfiato come una zampogna». Sono alcuni degli elementi, emersi dalle intercettazioni dei carabinieri, della violenza sistemica che si consumava nella caserma di Aulla. Ci sono episodi di persone fermate che vengono minacciate con la pistola in bocca.

C’è un caso di violenza sessuale, con un uomo sempre di origine straniera sottoposto a una perquisizione rettale non giustificata. C’è un carabiniere che dice di aver sparato a un fermato durante l’interrogatorio, senza che si sappia che ne è stato poi della persone colpita. Ci sono persone multate e sanzionate senza motivo, solo come forma di esercizio del potere e dell’autorità.

Dalle intercettazioni emergono anche tanti insulti razzisti a sfondo violento. «Sono scimmie», «devono mangiare banane», «mettere le mani addosso ai marocchini mi fa schifo perché puzzano», sono alcune delle frasi che emergono nei dialoghi tra i carabinieri di Aulla.

Alcuni cittadini stranieri hanno denunciato di aver subito violenze e umiliazioni in caserma anche in situazioni apparentemente non conflittuali, come in occasione del rinnovo dei documenti. Nelle carte dell’inchiesta si legge poi di scomparsa della droga sequestrata e di alterazione dei verbali.

Come la caserma Levante

In attesa delle motivazioni della sentenza di primo grado, che verranno pubblicate nel giro di 90 giorni, lo schema che emerge riguardo alla caserma di Aulla ricorda sotto molti aspetti i fatti della caserma Levante di Piacenza.

Quella fu la prima volta in Italia in cui venne sequestrata un’intera caserma, con sette militari arrestati nel 2020 e condanne fino a 12 anni comminate nel 2021. Nel caso di Aulla il numero di carabinieri coinvolti è però tre volte tanto e questo dà un’impronta ancora più sistematica, e grave, alla vicenda.

Nel 2017, nei primi mesi dell’inchiesta di Aulla, l’onorevole Maurizio Gasparri e altri politici, anche di centrosinistra come il sindaco della città toscana Roberto Vallettini (avvocato di alcuni dei militari indagati), avevano organizzato presidi e manifestazioni di solidarietà ai carabinieri.

Ora per quegli stessi carabinieri è arrivata la condanna di primo grado, che riaccende il dibattito sull’annoso problema degli abusi in divisa in Italia. La difesa in questi anni ha contestato la validità delle prove, parlando perfino di un complotto da parte di cittadini stranieri organizzati contro le forze dell’ordine. E ora ha annunciato che la sentenza verrà impugnata.

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