Alla fine, sulla questione scottante degli abusi, dalla 76esima assemblea generale dei vescovi è arrivata una non risposta. Aggirato lo scomodo scoglio della promozione di una commissione indipendente, la Cei ha deciso invece di tracciare una «strada tutta italiana», come l’ha definita il neo presidente Matteo Maria Zuppi durante la conferenza stampa conclusiva.

Più che una strada, una via di mezzo: i vescovi hanno infatti presentato un piano in cinque punti sulla lotta alla pedofilia che più che promuovere verità e giustizia sembra voler limitare i danni per l’istituzione ecclesiastica.

Gli impegni

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«In questi mesi non abbiamo fatto melina ma abbiamo lavorato con serietà», ha detto Zuppi. Ed eccolo, il programma: potenziare la rete dei servizi per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili e implementare i centri di ascolto diocesani, aperti – si badi bene – a tutti, non soltanto a chi ha subito abusi nelle strutture ecclesiastiche.

I vescovi si impegnano poi a produrre entro il 18 novembre, giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, un primo report nazionale sulle attività di prevenzione e formazione e sui casi di abuso segnalati alla rete dei servizi diocesani e interdiocesani negli ultimi due anni.
La Congregazione per la dottrina della fede fornirà poi alla Cei i dati sui delitti commessi da chierici dal 2000 al 2021, che saranno analizzati in collaborazione con istituti di ricerca indipendenti.

Soddisfazione da parte della Cei è stata infine espressa per la recente collaborazione con il ministero della Famiglia come invitato permanente dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile.

Archivi sigillati

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Non sono poche le perplessità che già suscita questa via nostrana alla lotta agli abusi nella chiesa: gli archivi delle istituzioni ecclesiastiche restano sostanzialmente sigillati e saranno sempre i vescovi a decidere quali documenti consegnare agli enti indipendenti.

Perché, inoltre, limitarsi ad approfondire i casi degli ultimi vent’anni, invece di risalire almeno agli ultimi 70, come è stato fatto negli altri paesi? Un ventennio è un arco di tempo molto corto, soprattutto se si considera che le vittime, in particolare i minori, impiegano anche venti o trent’anni a elaborare il trauma e, di conseguenza, a denunciare.

«Ci è sembrato più serio affrontare quello che ci riguarda direttamente – è stata la risposta di Zuppi – e non giudicare con i criteri di oggi azioni che risalgono a tanto tempo fa». Una scelta che però pone un problema anche in caso di eventuali risarcimenti, perché rappresenta di fatto una «vera e propria discriminazione» della maggior parte delle vittime, come ha sottolineato Francesco Zanardi, presidente della Rete l’Abuso, intervenuto a sorpresa alla conferenza stampa della Cei: «Sono 1.600 gli ex bambini abusati che si sono rivolti alla mia associazione e di cui la chiesa e lo stato non si sono mai occupati molti, me compreso, si sono ammalati gravemente, per non parlare di quelli che si sono suicidati», ha detto Zanardi.

Proprio sui risarcimenti, il presidente della Cei è stato vago e ha soltanto ribadito che «nei centri diocesani si fa accompagnamento psicologico gratuito a chi lo richiede».

Le proteste

Alle 8 di ieri mattina, intanto, nei pressi della Nunziatura apostolica alcuni attivisti hanno organizzato un flash mob di protesta, mostrando dei cartelloni con immagini di donne e uomini con la biancheria macchiata di sangue, a simboleggiare la sofferenza subita dagli abusati.

Tre ore dopo, il coordinamento Italy Church Too ha tenuto una conferenza stampa, in cui sono state condivise le dichiarazioni video di alcuni sopravvissuti alla violenza clericale, che hanno dichiarato la propria amarezza per non essere mai stati ascoltati dalla Chiesa.

Italy Church Too aveva mandato una lettera aperta alla Cei alcuni giorni fa, in cui poneva ai vescovi una chiara richiesta di assunzione di responsabilità. «Non siamo per niente soddisfatti – ha commentato Ludovica Eugenio, responsabile del settimanale Adista e membro del coordinamento – la Cei non ha coinvolto le vittime e, rifiutandosi di istituire una commissione davvero indipendente, mostra ancora una volta di preoccuparsi essenzialmente di sé stessa».

«Pensiamo alle vittime ma pensiamo anche ai preti, che sono figli nostri», ha detto d’altronde con un gran sorriso il cardinale Zuppi, aggiungendo che a volte summum ius summa iniuria: con l’applicazione troppo rigorosa della legge si finisce con il fare ingiustizie, alludendo alle polemiche sorte in Francia in seguito ai numeri eclatanti denunciati dalla commissione Ciase.

Non solo numeri

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In una materia così delicata, il neopresidente ha esortato a non focalizzarsi solo sui numeri, e d’altronde la Cei ha già più volte ammonito a estendere il monitoraggio anche ad altri ambiti della società.

Il rischio è però un grande calderone in cui le responsabilità della chiesa si diluiscono in un generale tentativo di cura senza riparazione del danno. Forse l’elezione a capo dei vescovi di un cardinale così popolare come Zuppi, corredata dall’entusiasmo per il suo profilo di prete dei poveri, è servita a indorare l’amara pillola di una presa di posizione sugli abusi clericali che appare più gattopardesca che mai: cambiare tutto per non cambiare nulla.

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