Quando nel 2015 si presentò, fresco di nomina, alla chiesa di Bologna, l’arcivescovo Matteo Maria Zuppi dichiarò di voler guardare ogni uomo con «simpatia immensa». Aveva preso in prestito quelle parole da papa Paolo VI, che cinquant’anni prima chiuse il Concilio Vaticano II nel solco del rinnovamento.

Non c’è solo Montini fra i modelli che il porporato romano ha fatto suoi in tutti questi anni di sacerdozio, ma senza dubbio le radici pastorali, che lo hanno portato alla presidenza dei vescovi italiani senza intaccare la semplicità di don Matteo, trovano la loro linfa nella chiesa post-conciliare aperta al mondo.

Zuppi lo aveva ben chiaro a 37 anni quando, insieme ad Andrea Riccardi, Jaime Pedro Gonçalves e Mario Raffaelli, mediò in Mozambico per la pace, firmata tra le due parti belligeranti del Fronte di Liberazione del Mozambico e il Partito di Resistência Nacional Moçambicana il 4 ottobre del 1992 a Roma, punto centrifugo, petrino e paolino, della chiesa cattolica.

Il suo modus operandi glocal, riflesso di una chiesa che non teme di attraversare le trincee, è stato forgiato negli anni di servizio presso la Comunità di Sant’Egidio, e sarà altrettanto decisivo per raccogliere le sfide che attendono una chiesa italiana sempre più svuotata e in balìa delle diffidenze interne.

La scuola di Sant’Egidio

Nella seconda giornata dell’assemblea Cei Zuppi, è stato votato con una maggioranza schiacciante entro una terna che includeva il cardinale romano Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino, e monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale.

La scelta verteva su pochi nomi, perché il papa stesso ha indicato ai vescovi che avrebbe desiderato un cardinale: «Preferisco che sia un cardinale, che sia autorevole» aveva detto al Corriere della Sera. Zuppi ha autorevolezza, come dimostra il ruolo chiave ricoperto per anni a Sant’Egidio.

La comunità fondata nel ‘68 da Andrea Riccardi, già ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione nel governo Monti, è stata un luogo dello spirito: prestava già servizio nella comunità quando nacque in lui la vocazione al sacerdozio. In seguito, il suo ministero sarebbe andato di pari passo alla comunità nel frattempo definita come l’«Onu di Trastevere». Come nuovo presidente della Cei, Zuppi incarna l’uomo che ascolta gli umili e i potenti.

Pro-nipote del cardinale Carlo Confalonieri, negli anni ha saputo unire il ruolo arcivescovile al ministero pastorale senza propendere né per l’uno né per l’altro. Quando s’insediò a Bologna disse: «Non sarò il vescovo di Sant’Egidio, ma di Bologna».

La sfida degli abusi in Italia

22/03/2022 Roma. Presentazione del libro La scelta, Nella foto il cardinale e arcivescovo Matteo Maria Zuppi.

Ora lo attende una grande sfida, che la guida del cardinale Gualtiero Bassetti ha solo procrastinato: la pedofilia nella chiesa italiana. Mentre dalla Francia al Portogallo i report sugli abusi commissionati dalle chiese locali hanno rivelato cifre spaventose, finora il tema è stato affrontato con negligenza, se non insufficienza, come sta mostrando l’inchiesta a firma di Federica Tourn sostenuta dai lettori di Domani. Bassetti stessa, nella sua prolusione a inizio giornata, ha menzionato gli abusi in poche righe, e parlandone sempre in termini di «protezione» e «prevenzione», confermando la linea precedentemente espressa dalle colonne del Corriere della Sera.

Una posizione alla quale si oppone ItalyChurchToo, la sigla che unisce diverse associazioni di vittime, come Rete L’Abuso e l’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, riviste come Adista e Left e svariati teologi, biblisti, sacerdoti e religiose, che a gran voce chiedono una commissione d’indagine indipendente sul modello della Ciase, presieduta dall’ex vicepresidente del Consiglio di stato Jean-Marc Sauvé e creata su mandato dei vescovi francesi.

Come spiegano le giornaliste Lucetta Scaraffia, Anna Foa e Franca Giansoldati, nel libro Agnus Dei. Gli abusi sessuali del clero in Italia (ed. Solferino): «Finché la chiesa non farà ammenda della grave incapacità e inadeguatezza dimostrate davanti a questo grave scandalo, riconoscendo e risarcendo le vittime, è veramente difficile nutrire fiducia nel futuro».

Lgbt e ddl Zan: apertura?

Zuppi è anche il primo porporato ad aver utilizzato pubblicamente l’acronimo Lgbt. Lo ha fatto nel 2018, firmando la prefazione al libro sulla pastorale verso gli omosessuali Un ponte da costruire del gesuita James Martin, che in un tweet lo definì un «grande supporter dei cattolici Lgbt»: «C’è un ponte da costruire con questa significativa porzione del popolo di Dio, le persone Lgbt, pur nella loro variegata espressione ecclesiale. Il non far niente, invece, rischia di generare tanta sofferenza, fa sentire soli» scrisse Zuppi, che però è stato tra i primi presuli a sostenere Courage, il movimento statunitense che propone ai cattolici omosessuali un cammino orientato alla castità. Quando il tema dell’omosessualità ha assunto un risvolto politico, Zuppi ha sempre ribadito la sua assoluta consonanza alle posizioni della Cei di Bassetti. Lo scorso anno, dopo l’affossamento del disegno di legge Zan contro l’omobitransfobia, il porporato ha sottolineato il ruolo cruciale della chiesa nel dare un «contributo positivo» pur trovando il «modo di fare una legge chiara dal punto di vista giuridico». Il nodo ritornerà attuale nelle prossime settimane dopo che il ddl Zan è stato ripresentato in Parlamento nel suo testo originale.

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