La commissione Giustizia del Senato ha dato il primo via libera all’articolo 1 del ddl Nordio, che prevede l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio. Il sì è arrivato anche con l’appoggio di Azione e Italia viva, contrari quindi solo Pd, Movimento 5 stelle e Alleanza verdi e sinistra.

Nonostante la posizione ufficiale del Pd sia quella di contrarietà, molti degli amministratori pubblici dem si sono schierati a favore della cancellazione del reato, considerato estremamente afflittivo per chi fa politica a livello amministrativo, ma più sul piano del danno di immagine in seguito all’indagine che su quello penale, viste le poche condanne.

«Dopo vent’anni di cambiamenti» la norma sull’abuso d’ufficio è un «fallimento» perché su 5mila processi «arrivano solo nove condanne», ha detto il ministro in giugno sul Corriere della Sera, spiegando la ragione per cui il reato va cancellato, così da eliminare anche la cosiddetta paura della firma per gli amministratori.

Il ddl Nordio

Se il testo passerà nella stessa formulazione anche in aula al Senato e poi nel suo iter alla Camera, il reato verrà quindi definitivamente cancellato dall’ordinamento e non è il solo, perché il ddl Nordio contiene anche una riscrittura di quello di traffico di influenze illecite, che viene circoscritto e la pena minima aumentata a un anno e sei mesi: le relazioni tra pubblico funzionario dovranno essere esistenti e non solo millantate e l’utilità da ricevere dovrà essere economica e non di qualsiasi altro tipo, come favori o benefici non in denaro.

Non solo. Il testo introduce limitazioni alle intercettazioni. Non ne vengono toccati il numero o i presupposti, ma se ne limita la pubblicazione solo ai contenuti intercettati «riprodotti dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento».

L’obiettivo, in questo caso, è di tutelare i cosiddetti terzi estranei, limitando la divulgazione di quanto captato dai telefoni alle parti che si considerano penalmente rilevanti. Sempre in quest’ottica, viene previsto che in capo al giudice sorga il dovere di «stralciare le intercettazioni» che contengano «dati personali sensibili, anche relativi a soggetti diversi dalle parti».

A livello procedurale, le modifiche riguardano la fase delle indagini preliminari. Sorge l’obbligo di interrogatorio preventivo della persona di cui il pm ha chiesto l’arresto, con la comunicazione almeno cinque giorni prima (ma il gip può abbreviare il termine per ragioni d’urgenza).

Inoltre, con la richiesta d’arresto il pm deve depositare tutti gli atti così che l’indagato possa prenderne visione e la richiesta di misura cautelare in carcere verrà vagliata da un collegio di tre giudici e non più dal gip. Quest’ultima misura, però, entrerà in vigore tra due anni, per permettere nuove assunzioni.

Altro elemento dirompente è il divieto del pm di presentare appello contro le sentenze di proscioglimento, ma solo nei casi di «reati di contenuta gravità», ovvero quelli per cui si prevede la citazione diretta a giudizio. Questo articolo rischia di essere il più controverso, perché una norma simile venne dichiarata incostituzionale dalla Consulta nel 2006.

Cancellare l’abuso d’ufficio non è un passo scontato e non ha incontrato subito il via libera di tutta la maggioranza. In particolare la Lega, con la capogruppo in commissione Giustizia al Senato Giulia Bongiorno, aveva espresso i suoi dubbi in merito, spiegando che avrebbe preferito valutare una riformulazione del reato invece che la sua totale abrogazione.

Infatti, in sede di approvazione al Cdm, l’accordo tra Nordio e la Lega è stato quello di considerare l’abrogazione solo un primo step di una «riforma più ampia» in cui si dovranno «rivisitare tutti i reati contro la Pubblica amministrazione», ha detto in un’intervista al Corriere l’ex ministra della Pubblica amministrazione.

Non solo, però, anche il Quirinale al momento del via libera del ddl Nordio in sede di consiglio dei ministri aveva tentato di esercitare la sua moral suasion per un intervento meno drastico. 

I dubbi del Colle

I timori di Mattarella, ben chiari anche a palazzo Chigi ma per ora messi da parte, riguardano i potenziali rischi di incostituzionalità. L’abolizione del reato potrebbe essere in contrasto con le previsioni dei trattati internazionali e in particolare con la convenzione Onu di Merida, che l’Italia ha sottoscritto e che prevede gli strumenti di contrasto alla corruzione.

Proprio questo è il rilievo che il Colle ha evidenziato al governo in via informale e che rimane valido anche ora. Anche perché, viene fatto notare, l’articolo 117 della Costituzione dice che lo stato e le regioni devono rispettare la Carta, l’ordinamento comunitario e gli obblighi internazionali. E «spesso lo si dimentica». Farlo in questo caso, però, sarebbe un errore che è già stato evidenziato dalla presidenza della Repubblica e di cui palazzo Chigi non potrà non tener conto. Inoltre in Ue è in discussione una direttiva europea anticorruzione che prevede espressamente il reato di abuso d’ufficio per tutti gli stati membri.

Nordio stesso ha dato assicurazioni che, secondo la sua opinione di giurista, questo rischio di contrasto con la convenzione di Merida non esisterebbe, perché essa impone un obbligo di incriminazione per le sole fattispecie corruttive, mentre rimette alla scelta degli stati membri quella sull’abuso d’ufficio.

Il rischio politico, però, rimane assolutamente realistico: l’abrogazione del reato potrebbe non essere firmata dal Quirinale perché solleva dubbi di costituzionalità e quindi verrebbe rimandata alle camere, oltre a mettere sull’attenti l’Unione europea rispetto a una sottovalutazione in Italia del contrasto alla corruzione.

I rischi giuridici

Accanto al tema politico, giuristi e magistrati hanno sollevato molte critiche all’iniziativa di cancellare il reato. Come spiegato dal giurista Gianluigi Gatta al momento del via libera in Cdm, senza abuso d'ufficio «spariscono 3.623 condanne definitive negli ultimi 25 anni» e anche i condannati che attualmente stanno scontando la pena la vedranno cancellata. Le condanne verranno revocate e pene in esecuzione cesseranno.

L’Associazione nazionale magistrati, inoltre, ha sottolineato come si rischino di aprire ambiti di totale impunità per gli amministratori locali: «Come può il diritto penale restare indifferente a un pubblico funzionario che abusa dei suoi poteri, che prevarica i diritti dei cittadini, che assume comportamenti di angheria nei confronti dei diritti dei privati? Questo è inaccettabile», ha detto il presidente Giuseppe Santalucia alla Camera, a margine di un’audizione.

Un altro elemento in considerazione è stato sollevato nei mesi scorsi anche da Bongiorno, che è relatrice in commissione e aveva sollevato dubbi sul fatto che l’abolizione del reato possa cancellare le nuove indagini.

Se un magistrato si trova davanti a una notizia di possibile reato commesso da un amministratore locale, anche se quel comportamento non rientra più nell’abuso d’ufficio l’indagine può cominciare comunque e – come aveva detto all’epoca Bongiorno – le procure potrebbero dare «interpretazioni estensive di altri reati contro la pubblica amministrazione» per ovviare alla mancanza del reato.

I molti cambi in corsa

Un ultimo aspetto da considerare è che il reato di abuso d’ufficio potrebbe essere stato poco efficace non solo per la sua formulazione «indefinita», come sostenuto dal ministro Nordio, ma anche perché la sua formulazione è cambiata nel corso degli ultimi anni, con l’effetto di non consolidarne la giurisprudenza, soprattutto rispetto all’ultima riforma del 2020 rispetto a oggi, di cui è impossibile valutare gli effetti.

La prima riforma del reato risale al 1990, in cui il reato era stato specificato rispetto a una precedente formulazione generica, che puniva il pubblico ufficiale che causava un danno o un vantaggio ad altre persone, abusando dei propri poteri, ossia commettendo un fatto non previsto da altri reati contro la pubblica amministrazione, con la pena della reclusione fino a due anni o una multa.

Poi è cambiato nuovamente nel 1997, quando l’allora ministro Giovanni Maria Flick del governo Prodi eliminò la distinzione tra vantaggio patrimoniale e non patrimoniale.

Per vent’anni, poi, il reato è rimasto uguale ed è stato poi modificato di nuovo nel 2020, nel governo Conte 2, con l’ulteriore precisazione che l’abuso d’ufficio si realizza solo se il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio violano «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».

Ora, infine – se la maggioranza procederà con lo stesso orientamento – la cancellazione definitiva.

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