Nello scontro tra politica e magistratura è in corso una battaglia laterale, che riguarda il parlamento e la Corte dei conti e tocca anche i controlli sui fondi del Pnrr.

Al centro c’è un disegno di legge in discussione in commissione Affari costituzionali al Senato, depositato a prima firma dal leghista Stefano Candiani ma appoggiato da tutta la maggioranza ad esclusione del Movimento 5 Stelle. Il testo sulla carta amplia i poteri della Corte ma – secondo i magistrati contabili – trascina indebitamente la magistratura contabile nell’orbita della politica.

Il testo, che reca la dicitura “disciplina relativa alla Corte dei conti a tutela del corretto riavvio del Paese”, ne rafforza la funzione consultiva. Le sezioni riunite e le sezioni regionali, infatti, a richiesta rispettivamente delle amministrazioni centrali e degli enti locali, avranno il potere di rendere pareri in materia di contabilità pubblica; inoltre le regioni e gli enti locali potranno sottoporre al controllo preventivo di legittimità della Corte i provvedimenti sui contratti. Infine, la Corte dovrà svolgere controllo concomitante sui progetti del Pnrr e, in caso di gravi ritardi o violazioni, potrà nominare un commissario che «sostituisce, ad ogni effetto, il dirigente re­sponsabile dell’esecuzione».

Autonomia e terzietà

Formalmente, le nuove funzioni aumentano il potere della Corte. Così, «attraverso i pareri preventivi si velocizzano gli iter: le amministrazioni locali sottopongono alla Corte le decisioni potenzialmente problematiche che stanno per prendere, la Corte esprime un parere e se l’amministrazione lo segue poi non sarà più soggetta a controllo», spiega il senatore Gianclaudio Bressa, che è relatore del testo e lo considera un modo per rendere la Corte dei conti più integrata con il lavoro delle amministrazioni, soprattutto in vista della spendita dei fondi del Pnrr.

L’opinione non è condivisa dai magistrati contabili. L’aumento di potere, infatti, viene visto come un tentativo di creare una sorta di corresponsabilità tra l’operato della Corte e quello delle amministrazioni, snaturando la sua funzione di magistratura.

«A differenza di quanto avviene per le altre magistrature, il nostro lavoro implica un continuo contatto con la politica perché controlliamo atti e gestioni pubbliche, sia delle amministrazioni locali che del governo e, nei casi più gravi, condanniamo a risarcire i danni arrecati al patrimonio pubblico. Per essere terzi e indipendenti, quindi, avremmo bisogno di un rafforzamento delle nostre garanzie di autonomia ed indipendenza e di essere collocati il più lontano possibile dalla politica», spiega Luigi Caso, presidente dell'Associazione magistrati della Corte dei conti.

Applicato al controllo sui fondi del Pnrr, potrebbe generarsi un cortocircuito. Come potrebbe la Corte dei conti monitorare la corretta spendita dei fondi, se è stata lei stessa a indicare come stipulare i contratti oppure ha nominato un commissario a cui ha indicato le funzioni da svolgere?

Il timore è anche un altro: che la Corte venga sommersa di nuovi atti e pareri, che l’attuale organico potrebbe non essere in grado di smaltire velocemente. Con il rischio che scatti la logica dell’esimente: inoltrata richiesta di parere senza aver ricevuto tempestiva risposta, l’amministrazione si sentirebbe sgravata di responsabilità. Dunque, in caso di contestazione, la responsabilità indiretta sarebbe anche della Corte per non aver adempiuto al suo ruolo consultivo. Nella disputa sulle questioni sostanziali, però, qualcuno potrebbe ricevere un indiretto vantaggio.

Il Consiglio di presidenza

In commissione sono state svolte audizioni dei membri del Consiglio di presidenza, che è l’organo di governo autonomo della magistratura contabile e svolge funzioni simili a quelle del Consiglio superiore della magistratura. La peculiarità della Corte dei conti, però, è la composizione. Diversamente rispetto alle altre magistrature, il rapporto numerico tra consiglieri laici e togati è paritario: quattro vengono nominati dal parlamento e quattro dai 600 magistrati contabili, oltre ai tre membri di diritto che sono il presidente della Corte dei conti, il procuratore generale e il presidente aggiunto.

Durante le audizioni la spaccatura è stata netta: il presidente Guido Carlino e il procuratore generale Angelo Canale hanno usato parole dure per contestare la riforma (cosa che ha fortemente infastidito i membri della commissione Affari costituzionali) e il parere reso dalle Sezioni riunite della Corte è stato negativo. I membri laici Giuseppe Fava e Francesco Saverio Marini, invece, hanno avuto toni decisamente più concilianti.

Parallelamente a queste audizioni, è stato depositato il 31 gennaio a prima firma della Lega un emendamento al Milleproroghe, che prevede la proroga di tutti i consiglieri - sia laici che togati- fino al 2026, “al fine di implementare compiutamente le nuove funzioni istituzionali attribuite”. Così i consiglieri rimarrebbero in carica per più di otto anni, «proprio nel momento in cui il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha parlato di necessità di rigenerazione della magistratura», nota Caso.

Il perchè di questa iniziativa parlamentare, invece, si può spiegare solo con una ipotesi, riportata da una fonte interna alla commissione: «I consiglieri laici e una parte dei togati sono favorevoli alla riforma e questa è l’ultima occasione utile per approvarla. Quindi tenerli al loro posto favorisce un orientamento positivo dentro la Corte». Per questo, anche gli altri gruppi parlamentari sosterrebbero l’emendamento a firma Lega.

In realtà, il parere formale (che comunque non è vincolante) è già stato reso in senso negativo ed è di appannaggio delle Sezioni riunite e non del Consiglio di presidenza. Tuttavia, l’investimento sarebbe sulla capacità di “moral suasion” dei prorogati. Il fatto rimane: il parlamento è disposto a bloccare fino al 2026 quattro caselle di sua nomina, ben retribuite e che fanno gola a molti, e che altrimenti scadrebbero nel 2022.

Dopo il primo round dello scontro in commissione, nessuna delle due parti intende arretrare: ad essere dirimente sarà il parere del governo al disegno di legge che è di pura iniziativa parlamentare. Elemento dirimente nella valutazione potrebbe essere l’ammontare delle risorse finanziarie attribuite al bilancio autonomo della Corte dal disegno di legge: «pari allo 0,5 per mille delle spese finali del bilancio dello Stato»: una cifra importante, che si aggira intorno ai 300 milioni di euro, che dovrà essere validata dalla ragioneria.

Il dato politico è che, se il disegno di legge venisse approvato, si modificherebbero in modo sostanziale i compiti e forse anche la natura della magistratura contabile. Se non passasse, invece, la Corte dei conti confermerebbe la forza del suo autogoverno contro una politica che ha tentato di “addomesticarla”.

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