Lo stesso ministro della Giustizia ha ammesso che la modifica costituzionale approvata dal parlamento non avrà alcun effetto positivo sull’efficienza del sistema giustizia essendo finalizzato per altri scopi.

La realtà purtroppo è opposta e peggiore. Una seria e serena valutazione di impatto ci porta a ritenere che le modifiche attuate, che devono essere viste nel loro complesso, porteranno invece ad una ulteriore inefficienza del sistema con un forte impatto che si riverbererà anche sul settore civile.

Difatti la rottura del Csm e la creazione di un Csm solo per i pubblici ministeri porta ad una inevitabile autoreferenzialità, cessando quel rapporto di costante interrelazionalità organizzativa che deve crearsi tra uffici giudicanti e requirenti, come tra primo e secondo grado, che sola può dare un sistema efficiente. In tutte le occasioni di formazione professionale nei confronti dei magistrati abbiamo sempre insistito che il sistema giudiziario deve essere visto come una filiera in cui gli uffici devono viversi non come monadi separate, ma come parte di un unico organismo che solo alla fine del percorso ci dà un prodotto apprezzabile. Tempi e qualità derivano da questa filiera, in cui interviene anche l’avvocatura come parte integrante della giurisdizione.

Tutto ciò viene smantellato in un attimo con i due Csm. Le interrelazioni fortemente stimolate dal Csm nelle sue deliberazioni, i protocolli e le linee guida stipulati a livello distrettuale o circondariale tra uffici giudicanti e requirenti per gestire il flusso dei procedimenti penali vengono in tal modo buttati in un cestino e saranno rapidamente abbandonati. Concetto sottolineato anche nella relazione di minoranza del Csm ad opera del professor Felice Giuffré che, in un contesto per lui favorevole alla riforma, rimarca che sarebbe stato invece opportuno mantenere un unico Csm suddiviso in due diverse sezioni, con momenti plenari proprio per mantenere quel necessario «incrocio tra le due componenti dell’ordine giudiziario».

Il rischio di due Csm

La scelta radicale di due Csm, oltre a dare ulteriore potere ai pm, non più minoritari come oggi, non consente invece nessuna interlocuzione. Con l’ulteriore conseguenza, estremamente grave, di mettere i flussi e la qualità dell’intervento penale interamente in mano ai P.M., semplicemente per il fatto che sono gli inquirenti ad avere il monopolio dell’azione penale e di situarsi a monte, gestendo “il rubinetto” dei procedimenti. Già oggi il numero di procedimenti penali che gli uffici inquirenti riversano sui giudicanti sarebbe ingestibile se non intervenissero protocolli e/o accordi basati sui criteri di priorità che cercano di limitare in particolare le citazioni dirette entro un tetto gestibile dagli uffici giudicanti. Protocolli e accordi incoraggiati dal Csm. Una volta interrotta la comunicazione e lasciati a se stessi gli uffici requirenti è facilmente prevedibile che questo self restraint finirà e che i tribunali saranno sommersi dalle richieste di rinvio a giudizio e dalle citazioni dirette. Del resto in un sistema in cui sempre più l’unica cosa che conta e che viene valorizzata sono numeri e tempi, l’inevitabile tentazione sarà di una bulimia investigativa in cui il miglior pm sarà quello che fa più numeri e che manda tanto a giudizio.

Se poi la valutazione si spostasse, come sarebbe più opportuno, sull’esito dei processi intentati il rischio sarebbe di incoraggiare una ferocia accusatoria in cui fondamentale non sarebbe più la ricerca della verità, ma incastrare l’imputato, al di là di prove e circostanze. Non si tratta di denigrare uffici del pm, cui va riconosciuta oggi in generale saggezza e cautela, ma capire che quando si crea un’istituzione a sé stante dedicata alle indagini e alle accuse, il rischio di incoraggiare torsioni inquisitorie è formidabile ed insito nella stessa creazione.

La conseguenza sarà di avere un eccesso non sostenibile di processi penali proprio nel momento in cui i dati PNRR relativi al settore penale venivano ad essere molto incoraggianti con una riduzione del Disposition Time, ovvero dei tempi attesi del 37,8 per cento rispetto al 2019, ben superiore all’obiettivo PNRR del 25 per cento.

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