Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha spiegato il senso del reato cosiddetto “anti rave” in una lunga intervista al Corriere della Sera e ha sostenuto che «fermeremo solo i rave party» e che la norma «chiaramente non fa alcun riferimento» ad altre situazioni. Inoltre, aggiunge che l’obiettivo è «allinearci alla legislazione degli altri paesi europei». Entrambe le affermazioni, però, non sono tecnicamente vere. Non a caso, dentro la maggioranza stanno già nascendo le prime crepe.

La premier Giorgia Meloni, dopo giorni di polemiche, è intervenuta rivendicando la norma e dicendo di andarne fiera: «Le strumentalizzazioni sul diritto a manifestare lasciano il tempo che trovano». Anche la Lega ha rivendicato la norma, mentre Forza Italia con il viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, ha già ipotizzato modifiche in parlamento per renderla «tassativa e puntuale» ed evitare interpretazioni scorrette, ha detto Sisto a Radio24, aggiungendo che le intercettazioni «non devono essere possibili e meno che mai quelle preventive». Per farlo, è necessario un emendamento che riduca la pena massima da sei anni a sotto i cinque, così da impedire l’utilizzo delle intercettazioni come mezzo di indagine.

La norma italiana

Il problema della norma, infatti, è che è talmente generica da potersi riferire a un ampio numero di situazioni e l’intenzione del legislatore incide in alcun modo su come poi la norma verrà applicata.

Il testo prevede il reato di invasione di terreni o edifici per «raduni» da cui «può derivare un pericolo per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica», quando «più di cinquanta persone invadono in modo arbitrario terreni o edifici altrui». La pena va dai 3 ai 6 anni, con multa fino a 10mila euro e il sequestro degli strumenti e delle attrezzature. Nessun accenno alla condotta o al tipo di pericolo che si può generare. Per altro un reato quasi identico è già previsto all’articolo 633 del codice penale, che punisce «chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto» ma con una pena inferiore, da 1 a 3 anni.

La nuova norma anti-rave può essere interpretata estensivamente perchè utilizza la nozione di «ordine pubblico» e il fatto che basti l’ipotesi che questo tipo di pericolo si possa generare. Inoltre, come ha fatto notare il costituzionalista ed ex senatore dem, Stefano Ceccanti, l’ordine pubblico era «l'elemento chiave del testo unico fascista di pubblica sicurezza del 1931», che infatti non viene mai utilizzato nella Costituzione repubblicana.

La questione determinante, poi, è legata alla pena particolarmente severa e non casuale. La pena minima di 3 anni impedisce di accedere alla sospensione condizionata della pena anche agli incensurati, nel caso in cui non ottengano almeno le attenuanti generiche. La massima di 6 anni, invece, premette agli inquirenti di utilizzare lo strumento delle intercettazioni come mezzo di ricerca della prova, che viene permesso solo per alcuni tipi di reati proprio perchè sono particolarmente invasive.

La legge in Francia

In Francia, il fenomeno dei rave party è regolato da una legge del 2001, la cosiddetta legge Mariani. La legge vieta l’organizzazione di raduni di oltre 250 persone senza l’autorizzazione dei prefetti locali. Prevede il sequestro dell’impianti, multe agli organizzatori e la possibilità di intervento delle forze dell’ordine per disperdere i partecipanti. Non è prevista, però, la detenzione per organizzatori e per chi partecipa al rave.

Un esempio della sua applicazione è quello di un grande rave party da 20mila persone nella ex base Nato di Marigny, nel 2018 in Francia. Per il rave sono stati processati quattro organizzatori tra 21 e 36 anni, che hanno ricevuto una multa sospesa di 200 euro per «organizzazione senza preventiva dichiarazione di un raduno festivo di natura musicale con diffusione di musica amplificata in uno spazio non sviluppato», oltre alla confisca dei veicoli e delle loro attrezzature.

La legge nel Regno Unito

La legge del Regno Unito è forse la più stringente, con il Criminal Justice Act del 1994 che ha trasformato in reato quello che prima era un illecito civile. La legge, all’epoca molto criticata perchè considerata restrittiva, è molto dettagliata e dà alle forze dell’ordine il potere di allontanare chi organizza o partecipa ai rave. Il rave party è definito «un raduno di 20 o più persone dove viene suonata musica amplificata di notte», che «per il rumore e la durata e il momento del giorno in cui viene suonata, potrebbe creare fastidio ai residenti». Addirittura la legge chiarisce cosa si intende per musica: «anche ciò che include suoni del tutto o in modo predominante caratterizzati dall’emissione di beat ripetitivi». La differenza più significativa rispetto alla normativa italiana, però, è la pena. «Se la persona non lascia il terreno appena è ragionevolmente fattibile (dopo l’intervento delle forze dell’ordine) commette un reato e è punibile con la detenzione per una durata non superiore ai 3 mesi o con una multa».

Germania

In Germania, essendo uno stato federale, la normativa varia a seconda delle regioni. Principalmente, però, le denunce per gli organizzatori riguardano il fatto di aver infranto le leggi che tutelano le bellezze naturali o la violazione di domicilio.

La cultura dei rave party è molto radicata in Germania e soprattutto intorno alla città di Berlino, ma nel tempo ha perso la sua portata di contestazione sociale. Per questo, l’obiettivo delle autorità è stato quello quello di rendere legali i rave, favorendone l’organizzazione nel rispetto delle regole. 

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