Si allontana sempre di più il procedimento disciplinare davanti al Consiglio superiore della magistratura per Cosimo Ferri. 

Il magistrato in aspettativa e deputato di Italia Viva è incolpato di aver provato a condizionare le nomine del Consiglio e la prova a sostegno dell’accusa sono le captazioni del trojan nel cellulare di Luca Palamara, che per questo è già stato radiato dalla magistratura.

La Giunta per le autorizzazioni della Camera, però, è pronta a negare l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni.

Una proposta in questo senso è arrivata dal relatore del caso, il deputato di Forza Italia Pietro Pittalis, al termine di una seduta durante la quale è stato ascoltato anche lo stesso Ferri. In quanto parlamentare, infatti, Ferri è tutelato dalle guarentigie dell’articolo 68 della Costituzione, secondo cui un deputato non può essere intercettato senza l’autorizzazione della camera di appartenenza.

Nella prossima seduta la Giunta dovrebbe deliberare, poi la decisione passerà alla Camera e sarà Montecitorio a votare per confermare la scelta. L’orientamento, però, sembra segnato.

La questione è riassumibile in questi termini: l’accusa nei confronti di Ferri si regge sulle captazioni della cena del 9 maggio 2019 presso l’hotel Champagne di Roma, dove lui si trovava insieme a Palamara, Luca Lotti e altri cinque ex togati del Csm. 

La sezione disciplinare del Csm sostiene che le intercettazioni siano utilizzabili, pur data la presenza di un parlamentare, perchè si tratta di intercettazioni “casuali” per le quali l’autorizzazione alla Giunta per la loro utilizzazione viene chiesta successivamente.

Ferri, invece, ritiene di essere stato intercettato “indirettamente”, perchè gli investigatori erano al corrente in anticipo della sua presenza all’hotel. Dunque l’a richiesta di autorizzazione andava presentata in via preventiva e il trojan andava spento.

La Giunta per le autorizzazioni della Camera si è quindi trovata a dover decidere se dare il via libera all’utilizzo delle intercettazioni come da richiesta del Csm. La valutazione, però, è duplice: una preliminare di procedura, per valutare se le intercettazioni siano state “casuali” o “indirette”; poi, se valutato che fossero casuali, una valutazione di merito di utilizzabilità.

L’orientamento, almeno da proposta del relatore, è quello di ritenere che le intercettazioni fossero indirette e dunque non utilizzabili.

la difesa di Ferri

Ferri è stato ascoltato in Giunta e ha esposto la sua linea difensiva: ritiene di essere stato ricompreso nel perimetro dell’indagine e quindi che ogni intercettazione in cui si sente la sua voce sia da considerare indiretta e non casuale, aggiunge che nel caso specifico dell’hotel Champagne il trojan andasse spento perchè gli investigatori erano preallertati della sua presenza e del suo ruolo di parlamentare.

A sostegno della sua tesi, ha presentato una memoria in cui spiega di essere stato identificato dagli investigatori come parlamentare e interlocutore di Palamara «almeno a partire dal 12 marzo 2019», come riferito da un maresciallo durante i procedimenti disciplinari che si sono già svolti sugli stessi fatti nei confronti di Palamara e degli ex togati.

Inoltre, ha segnalato di essere «stato citato 341 volte nelle varie richieste di proroga delle intercettazioni telefoniche e informatiche nei confronti di Palamara» è che erano iniziate a febbraio 2019.

Questo lo ha portato a dire di essere rientrato nel perimetro delle indagini del procedimento penale di Perugia, sebbene non sia mai stato formalmente indagato: nei suoi confronti sono stati effettuati pedinamenti, una fotosegnalazione e il riconoscimento della sua voce, oltre che centinaia di citazioni del suo nome nelle informative. 

Nello specifico del dopocena dell’hotel Champagne – che è oggetto del procedimento disciplinare – ha sostenuto che il trojan del cellulare di Palamara doveva essere spento perchè era noto che lui sarebbe stato presente. «Risultano cinque conversazioni, costituite da tre intercettazioni telefoniche e due captazioni mediante trojan, rivelanti le attività chiaramente preparatorie all’incontro», ha detto davanti alla Giunta, spiegando che «tali attività preparatorie avrebbero dovuto portare a disattivare il trojan alla presenza di parlamentari».

Il braccio di ferro tra poteri

A emergere con forza in questo caso è il cortocircuito tra poteri.

Cosimo Ferri non è indagato in nessuna delle inchieste che sono scaturite dal caso Palamara per cui è in corso un processo a Perugia. Tuttavia, i contenuti delle intercettazioni sono prova di quello che ormai è noto come il sistema delle correnti, che influivano e pilotavano le nomine all’interno del Csm e ai vertici degli uffici giudiziari.

I trojan, infatti, hanno permesso di scoprire le dinamiche con cui si tentava di influire sulla nomina del nuovo procuratore capo di Roma e proprio questi comportamenti hanno prodotto la radiazione di Palamara e la sospensione di altri cinque ex consiglieri del Csm. 

Nel caso di Ferri, invece, la sua doppia qualità di magistrato e di parlamentare ha fatto scattare il cortocircuito.

In quanto magistrato Ferri è sottoponibile al procedimento disciplinare come i suoi colleghi, visto che era presente all’incontro in quanto all’epoca influente membro del gruppo Magistratura indipendente. E le registrazioni fotografano il metodo, di cui anche Ferri era artefice, attraverso cui si voleva condizionare la nomina. 

In quanto parlamentare, tuttavia, Ferri ha il diritto di opporsi all’iniziativa disciplinare del Csm, basata su intercettazioni che potrebbero essere inutilizzabili nei suoi confronti perchè non fatte rispettando le sue prerogative di deputato.

Il paradosso

Il risultato finale dello scandalo procure, però, rischia di essere paradossale: di un’inchiesta che ha gettato nel caos l’intera categoria, l’unico a pagare sembra essere Palamara. I fatti emersi hanno gettato discredito sulla magistratura associata e buona parte dell’attuale riforma dell’ordinamento giudiziario è stata scritta proprio per mettere fine al cosiddetto sistema “correntizio”. 

Tuttavia, per quelle condotte, l’ormai ex magistrato sotto processo a Perugia è l’unico ad aver subito la radiazione dall’ordine giudiziario. 

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