La Camera ha negato l’autorizzazione a utilizzare le intercettazioni del cellulare di Luca Palamara nel procedimento disciplinare contro il deputato Cosimo Ferri.

Si è concluso così il braccio di ferro tra il Consiglio superiore della magistratura e Montecitorio: le conversazioni tra Palamara e Ferri e quelle ambientali, captate grazie al trojan, sono state acquisite «illegittimamente». Per questo sono inutilizzabili nel disciplinare a carico del magistrato in aspettativa.

Così si era concluso l’esame in Giunta per le autorizzazioni e così ha votato l’aula, con 227 voti a favore e 86 contrari, solo di Movimento 5 Stelle e Alternativa.

La vicenda 

Il tema su cui la Camera è stata chiamata ad esprimersi è se le intercettazioni in cui si sente anche la voce di Ferri siano state acquisite in modo casuale dalla polizia giudiziaria e quindi siano utilizzabili, oppure no.

Nel caso in cui gli inquirenti sono a conoscenza che le captazioni riguardano un parlamentare, infatti, sono tenuti a sospenderle per chiedere il consenso alla camera di appartenenza.

Nel caso di Ferri, è stato valutato che chi era all’ascolto fosse al corrente che il parlamentare sarebbe stato presente al dopocena dell’hotel Champagne e che dunque, se il trojan fosse stato attivato, lui sarebbe finito nella rete delle captazioni.

La vittoria di Ferri

La decisione della Camera produce una serie di effetti, favorevoli per Ferri e sfavorevoli per il Csm.

L’ex magistrato e capocorrente di Magistratura indipendente, Cosimo Ferri, sarà comunque sottoponibile al procedimento disciplinare. Tuttavia, contro di lui di fatto crolla buona parte dell’impianto accusatorio, che si basava tutto sulle intercettazioni del trojan nel cellulare di Palamara. Le stesse su cui si è basata la radiazione dello stesso Palamara dall’ordine giudiziario.

Le incolpazioni di Ferri sono molto simili a quelle di Palamara, ma senza la prova regina delle intercettazioni sostenere l’accusa sarà quasi impossibile. L’accusa, infatti, riguarda il tentativo di pilotare la nomina del procuratore capo di Roma attraverso accordi tra correnti presi proprio durante il dopocena intercettato.

Per Palamara, la procura generale di Cassazione aveva dichiarato che senza le intercettazioni il caso di fatto non sarebbe esistito. Contro di lui, però, le intercettazioni erano pienamente utilizzabili.

Ferri invece è coperto dalle guarentigie parlamentari che lo rendono non intercettabile in costanza di mandato, senza previa autorizzazione della camera di appartenenza.

Di fatto non ci sono differenze nella posizione dei due: la questione è solo di diritto e non di fatto, visto che gli elementi della condotta di entrambi sono registrati.

In questo modo, quindi Ferri con tutta probabilità conserverà il suo ruolo di magistrato in aspettativa e potrà rientrare in servizio una volta concluso il mandato parlamentare.

le conseguenze al Csm

La decisione della Camera mette la commissione disciplinare del Csm davanti al bivio: proseguire con il procedimento oppure archiviarlo per mancanza dell’impianto probatorio.

In tutti i casi, la vicenda apre una serie di interrogativi sulla gestione dell’intero caso Palamara e lo svolgimento delle intercettazioni. La decisione della Camera su Ferri, infatti, può tornare utile come elemento anche allo stesso Palamara, che ha presentato ricorso alla Cedu contro la sua radiazione dalla magistratura.

Inoltre, dal punto di vista interno, emergono ulteriori zone grige sia nello svolgimento delle indagini che nei procedimenti disciplinari che sono seguiti.

Con quali conseguenze concrete è difficile prevederlo, di certo questo è l’ennesimo punto di scontro tra potere giudiziario, convinto della correttezza delle intercettazioni, e potere politico che invece ne ha negato l’utilizzo.

Le ragioni del no

Pietro Pittalis, deputato di Forza Italia che era relatore del procedimento in Giunta, ha spiegato così la decisione presa, sottolineando che si è “basata esclusivamente su valutazioni di tipo tecnico e giuridico, senza entrare in alcun modo nel merito politico”.

Quello che è emerso dall’indagine della Giunta è che Ferri, pur non formalmente indagato, “risultava oggetto di indagine e di attenzione da parte degli investigatori: ogni attività che lo riguardasse avrebbe quindi dovuto essere autorizzata dalla Camera di appartenenza”. Cosa che non è avvenuta, nonostante il nome di Ferri compaia 341 volte nelle varie richieste di proroga delle intercettazioni telefoniche. 

Inoltre, è emerso che la polizia giudiziaria aveva identificato Ferri come interlocutore di Palamara ed era al corrente, dalle telefonate ascoltate, che sarebbe stato presente all’hotel Champagne.

Tutte ragioni che hanno indotto la Camera a negare l'autorizzazione. 

© Riproduzione riservata