La Giunta per le autorizzazioni della Camera ha negato al Consiglio superiore della magistratura l’utilizzo delle intercettazioni in cui è stato registrato anche il deputato di Italia Viva, Cosimo Ferri.

Ora la ratifica finale spetta alla Camera ma, se la decisione verrà confermata, la sezione disciplinare potrebbe decidere di proporre conflitto di attribuzione tra poteri davanti alla Corte costituzionale.

Ferri, infatti, è incolpato di aver tentato a condizionare le nomine del Consiglio e la prova a sostegno dell’accusa sono proprio le captazioni del trojan nel cellulare di Luca Palamara, che per questo è già stato radiato dalla magistratura.

La decisione è stata presa quasi all’unanimità: a favore della relazione del relatore, il deputato di Forza Italia Pietro Pittalis, hanno votato i rappresentanti di tutti i partiti di maggioranza tranne che quelli del Movimento 5 Stelle. 

I fatti

Le conversazioni avvenute nel corso del dopocena all'hotel Champagne cristallizzano i fatti e il tentativo di influenzare la nomina del nuovo procuratore capo di Roma. 

Tuttavia, la valutazione della Giunta mette un luce una serie di elementi formali nella formazione delle prove. 

La questione è riassumibile in questi termini: l’accusa nei confronti di Ferri si regge sulle captazioni della cena del 9 maggio 2019 presso l’hotel Champagne di Roma, dove lui si trovava insieme a Palamara, Luca Lotti e altri cinque ex togati del Csm.

La sezione disciplinare del Csm, che fonda il procedimento a carico di Ferri sulle intercettazioni, sostiene che siano utilizzabili, pur data la presenza di un parlamentare, perché si tratta di intercettazioni “casuali” per le quali l’autorizzazione alla Giunta per la loro utilizzazione viene chiesta successivamente.

Ferri, invece, ritiene di essere stato intercettato “indirettamente”, perché gli investigatori erano al corrente in anticipo della sua presenza all’hotel. Dunque la richiesta di autorizzazione andava presentata in via preventiva e il trojan andava spento.

La Giunta, negando l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni, ha accolto e votato la relazione di Pittalis, in cui si ritiene che «le intercettazioni siano “indirette” e non “casuali”», ha spiegato il relatore.

In particolare, a sostegno di questa conclusione è stato utilizzato il decreto del pm di Perugia con cui è stata chiesta la proroga delle indagini. 

Nell’atto, infatti, si legge che l’incontro tra Palamara e Ferri è elemento che segna un «percorso investigativo da approfondire» e questa valutazione è appunto fondata sull’ascolto delle intercettazioni precedenti, risalenti al 21, 28, 29 aprile e 9 maggio (serata dell’hotel Champagne) in cui anche il deputato è compreso.

Cosa succede adesso

Ora il relatore Pittalis redigerà una relazione da presentare al presidente della Camera, Roberto Fico, e la Capigruppo calendarizzerà il momento in cui l’assemblea si esprimerà per confermare o smentire gli esiti della Giunta sull’utilizzabilità. Tuttavia, vista anche la larghissima maggioranza raggiunta, il finale del braccio di ferro sulle intercettazioni sembra segnato.

In questo modo, tuttavia, il disciplinare a carico di Ferri si arresterebbe per mancanza di contributi probatori, nonostante a carico del deputato pendano incolpazioni fotocopia di quelle del radiato Palamara.

Lo scontro tra Camera e Csm

A emergere con forza in questo caso è il cortocircuito tra poteri, vista la doppia veste di Ferri sia di magistrato che di deputato. Nel sui caso, infatti, a operare sono le guarentigie ex articolo 68 della Costituzione, che mettono al riparo i parlamentari dalle intercettazioni, salva l’autorizzazione della Camera di appartenenza.

In quanto magistrato Ferri è sottoponibile al procedimento disciplinare; in quanto parlamentare, tuttavia, ha il diritto di opporsi all’iniziativa disciplinare del Csm, basata su intercettazioni che non rispettano le sue prerogative di deputato.

Il paradosso, tuttavia, è che lo scandalo procure che ha terremotato il Csm e gettato nel caos la magistratura rischia di chiudersi con un unica condanna, a carico di Luca Palamara.

Per quelle condotte, l’ormai ex magistrato sotto processo a Perugia è l’unico ad aver subito la radiazione dall’ordine giudiziario. 

Il parallelo di Renzi

Parallelamente a Ferri, anche il suo leader di partito, Matteo Renzi, ha sollevato lo stesso tipo di conflitto in Giunta per le autorizzazioni del Senato per il caso Open.

Il senatore ha chiesto l’immunità parlamentare prevista dall’articolo 68 della Costituzione, sostenendo che sms, e-mail, messaggi Whatsapp e intercettazioni finiti negli atti delle indagini siano inutilizzabili.

Secondo lui, infatti, la raccolta non è avvenuta in modo casuale, dunque andava preventivamente autorizzata dalla sua camera di appartenenza e così non è avvenuto.

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